giovedì 8 dicembre 2011

Dall'Australia lo spot che fa impazzire gli etero

L'ultimo video degli attivisti di GetUp! sta spopolando in rete: dal 24 novembre è stato visto più o meno 3 milioni e 50 mila volte.



Bellissimo. Praticamente un film riassunto in due minuti. Una storia d'amore raccontata in soggettiva al fine di portare lo spettatore ad immedesimarsi nel protagonista. E infatti lo spot, che mira a sensibilizzare il pubblico sul tema del matrimonio gay, deve commuovere chi lo guarda: tenerezza, gioia, dispiacere, complicità, ... fino al colpo di scena finale quando si scopre che dietro la cinepresa c'è un altro ragazzo. Come a dire: "che differenza fa?". L'intento è mostrare la normalità di una relazione e della vita di due ragazzi gay. Quindi è ovvio che il target non sono i gay; la campagna è rivolta ad altri.
La scelta di insistere così fortemente su un messaggio di uguaglianza e la totale assenza di un dibattito (almeno in Italia) su questi temi hanno fatto sì che qualcuno interpretasse il "noi siamo come voi" affermato dalle immagini dello spot, in una richiesta di approvazione da parte dell'altra categoria. Certamente questa campagna potrebbe togliere dei dubbi a chi si immaginava  i gay come omini verdi sputafuoco, il che non sarebbe male per una convivenza pacifica e civile, ma il punto è far capire, molto semplicemente, che non c'è ragione per cui una coppia di due ragazzi debba avere meno diritti di una coppia etero. La maggior parte degli articoli di commento al video però conclude citando i sondaggi. "I sondaggi dicono che in Australia la maggioranza dei cittadini è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso." Sottinteso: quindi si può fare. No. Non è così che funziona. Nessuno sta chiedendo il permesso a nessuno. Non è una questione di consensi. Parliamo di diritti, anzi di diritti negati.
Il difetto di questo spot, secondo me, è che puntando su un format tipicamente americano di buonismo esasperato, rischia di trasformare quella che dovrebbe essere una ferma denuncia in una timida richiesta. Perché rimandando troppo in là il "colpo di scena", quando il protagonista chiede la mano della sua dolce metà, in realtà la sta chiedendo anche allo spettatore, ancora immedesimato, che, commosso, accetta.

La logica ricorda molto quella del bellissimo video del 2009 di MarriageEquality per l'Irlanda: un ragazzo va a bussare alle porte di casa dei suoi concittadini e domanda: "salve, posso chiederle la mano di Sinead?". Il filmato si conclude con la domanda: "Come ti sentiresti se dovessi chiedere a 4 milioni di persone il permesso per sposarti?".





Perché hanno più successo pubblicità con un montaggio figo e quasi scontato rispetto a campagne più originali e che non puntano solo sul lato emotivo dello spettatore? Non è paradossale che per affrontare una diversità si debba per forza usare un linguaggio omologato e appiattirsi entro i parametri della comunicazione massmediatica cui siamo normalmente abituati? Perché per farsi ascoltare bisogna ricercare a tutti i costi il plauso generale?
Il punto è che i diritti, per loro natura, non sono gentili concessioni dei principi regnanti, altrimenti si chiamerebbero privilegi. La costante degenerazione della democrazia in una forma di dittatura della maggioranza annichilisce ogni senso di giustizia e libertà. L'indifferenza che ammorba questa società ha fatto dimenticare da tempo che i diritti delle minoranze sono diritti di tutti. La campagna It's Time dovrebbe dare una scossa in questo senso: tirare un po' la giacchetta a quelli che trovano sempre una scusa per rimandare una questione che ritengono di secondaria importanza e fare presente che non stiamo parlando di pretese della egocentrica comunità gay, ma di diritti. Gli spot servono per creare empatia; poi però, onde evitare che si sciolga come neve al sole, bisognerebbe ragionarci su. Serve un cambiamento culturale: "è ora". E' ora di abbattere gli stereotipi, è ora di capire che nessuno vuole distruggere la famiglia, è ora che a riforme della società seguano riforme della legge. Vi stiamo chiedendo una mano, sì, ma non quella di Sinead.  
"Stiamo ampliando le opportunità di felicità per i nostri vicini, per i nostri colleghi di lavoro, per i nostri amici e per i nostri famigliari, e allo stesso tempo stiamo costruendo un paese migliore, perché una società migliore è quella che non umilia i suoi membri"  -Zapatero-

venerdì 4 novembre 2011

La Chiesa, i mercanti e i portatori di luce

Da sempre le religioni sono state usate come strumento di controllo politico e sociale, un po' perché i sovrani e i governi cercavano nelle istituzioni ecclesiastiche un alleato per accrescere la propria base di consenso popolare, un po' perché i poteri forti sono per natura interessati a consolidare nelle masse una determinata forma mentis. Ci troviamo oggi ad assistere ad un processo di mondializzazione in cui gli Stati stanno perdendo o cedendo la propria sovranità a entità sovranazionali o internazionali, nonché a banche centrali e multinazionali. Questo progetto si chiama "nuovo ordine mondiale".
Qualcuno crede che la Massoneria voglia distruggere la Chiesa e che questa sia l'ultimo baluardo rimasto a difendere i valori cristiani. In realtà è la stessa Chiesa che si sta autodistruggendo, essendo un'istituzione corrotta fino al midollo, e non, mi si permetta di sottolineare, da un paio di secoli, ma da qualcuno in più. Resta ancora da definire se siano stati i massoni ad infiltrarsi nella Chiesa o, probabilmente, i gesuiti (o altri) a iniziare a collaborare con le società segrete. E' invece chiaro come in entrambi i casi gli obiettivi originali siano stati persi di vista.

Il 24 ottobre il Pontificio consiglio della giustizia e della pace ha pubblicato un documento "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un'autorità pubblica a competenza universale" nel quale, riprendendo la lettera enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII e la Caritas in veritate di Benedetto XVI, auspica la creazione di un'autorità pubblica mondiale.
Il testo fa un'analisi delle cause della crisi economica e finanziaria che è pure in gran parte condivisibile: si constata "la necessità di un corpus minimo di regole necessarie alla gestione del mercato finanziario globale, cresciuto molto più rapidamente dell'economia reale". Si fa peraltro un breve cenno alle banche che negli ultimi decenni hanno esteso "il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un'ulteriore espansione del credito. Il sistema economico è stato in tale maniera spinto verso una spirale inflazionistica". 
Si ribadisce tuttavia che il processo di globalizzazione "con i suoi aspetti positivi è alla base del grande sviluppo dell'economia mondiale del XX secolo". In conferenza stampa il segretario cardinal Mario Toso tiene a sottolineare che "le riflessioni presentate dal Pontificio Consiglio non demonizzano affatto i mercati monetari e finanziari, bensì li considerano un bene pubblico". Bene pubblico? Ma se sono il regno di multinazionali e banche private! D'altronde, con un patrimonio come quello vaticano, bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. La morale rigorista si può tenere soltanto sulle unioni omosessuali, il divorzio e l'aborto.
Dopodiché si denuncia la mancanza di etica dell'ideologia tecnocratica, salvo poi proporre, attraverso una riforma che avrebbe come punto di riferimento l'Organizzazione delle Nazioni Unite, la costituzione di un'autorità super partes, che agirebbe per "il bene comune"; evidenziando il venir meno dell'efficienza degli Accordi di Bretton Woods e del Fondo Monetario Internazionale, viene delineata addirittura l'idea di "una sorta di Banca Centrale Mondiale che regoli il flusso e il sistema degli scambi monetari".
Insomma, prima danno la colpa della crisi alle ideologie neoliberiste e tecnocratiche, poi per risolverla consegnerebbero a loro le chiavi di casa.

Forse però non è così strano.  
"Cosa è in fondo una grande banca mondiale che tutto prevede e a tutto provvede se non la già sperimentata “reductio ad unum” delle religioni monoteiste?", scrive Filippo Ghira su Rinascita.
Già, perché pochi giorni dopo la pubblicazione di questo testo, il 27 ottobre, il Papa ha ricevuto ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni del mondo, incontro ecumenico voluto per la prima volta nel 1986 da Giovanni Paolo II. 
E qui Ratzinger, in un discorso noiosissimo, ha detto "questo incontro non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose, si tratta piuttosto di ritrovarsi insieme, di questo essere in cammino verso la verità". Può essere che io sbagli nell'interpretare questa frase ma una domanda sorge spontanea: la Chiesa non si crede mica depositaria della verità, in quanto ritiene che il cattolicesimo sia l'unica religione rivelata? Forse che il Papa non voleva offendere gli altri augusti colleghi? E da quando se ne preoccupa? Almeno da quando i pontefici invocano a gran voce un "Nuovo Ordine Mondiale", cosa che hanno fatto giusto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sicuri, cari cattolici, che la Chiesa non abbia sostituito il Vello d'oro al Dio biblico?

La Santa Sede oggi ha osservatori permanenti all'Onu e in varie altre organizzazioni internazionali. All'interno dell'Onu si trova anche una Organizzazione delle Religioni Unite, sostenuta da un certo Robert Muller, autore del programma di educazione scolastica World Core Curriculum, la cui filosofia di fondo si basa sui libri di Alice Bailey, una sacerdotessa della New Age che fondò nel 1922 la Lucifer Publisching Company, poi diventata Lucis Trust, e nel 1932 la Buona Volontà Mondiale, una Ong oggi riconosciuta dall'Onu. 
Il manifesto della Lucis Trust descrive una Nuova Religione Mondiale e prevede la progressiva "eliminazione delle dottrine non essenziali". E' quantomeno curioso che il lato "spirituale" dell'Onu sia in mano a personaggi che si fanno portavoce degli insegnamenti di una società teosofica di cui faceva parte anche l'occultista Helena Blavatsky, la quale esalta Lucifero come salvatore dell'umanità alla quale ha donato il lume della conoscenza. 
Personalmente non disdegno aprioristicamente questa interpretazione della mitologia biblica, ma mi sfugge come una tale visione potrebbe mai coniugarsi con quella lucifero-fobica della dottrina cattolica. Eppure né gli egregi signori dell'Onu né gli illustrissimi Vicari del Vaticano sembrano avere problemi con questa variopinta Lucis Trust.
Chi controlla chi?  

sabato 10 settembre 2011

Terroristi sono sempre gli altri, Pt. 3 - Lockerbie, l'11 settembre scozzese

"Le bugie hanno già fatto il giro del mondo quando la verità deve ancora mettersi le scarpe"
Mark Twain

E' il 21 dicembre 1988 quando un aereo della Pan Am esplode in volo sopra Lockerbie, una cittadina scozzese, provocando la morte dei 251 passeggeri e di 11 abitanti colpiti dai rottami del velivolo. Tre anni dopo le autorità americane e scozzesi accusano due agenti segreti libici dell'azione terroristica. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu esige da Tripoli la consegna di Abdel al-Megrahi e di Khalifa Fimah, insieme ad altri quattro sospettati del dirottamento di un aereo dell'Uta (precipitato nel deserto del Teneré il 19 settembre 1989) in cui hanno perso la vita 170 persone. La magistratura libica respinge le richieste di estradizione. Anni di sanzioni imposte dall'Onu e dagli Stati Uniti costringono Gheddafi, ormai isolato e con le spalle al muro, a consegnare i presunti terroristi. Al-Megrahi viene condannato all'ergastolo nel 2001, ma verrà rilasciato solo otto anni dopo in seguito alla diagnosi di un tumore allo stadio terminale.



1. A volte ritornano

Febbraio 2011: Pochi giorni dopo l'inizio delle proteste in Libia, il ministro della giustizia si dimette e, neanche il tempo di saltare la barricata, dichiara al mondo: "Ho le prove che Gheddafi diede l'ordine per l'attentato di Lockerbie". Naturalmente il giornale che rivela lo scoop non gli chiede quali siano queste prove. L'importante è che la notizia giri, per ricordare a tutti che tipo di personaggio sia Gheddafi. E infatti... passano i giorni, passano i mesi, ma delle prove nessuna traccia. In una noiosa giornata di marzo la Clinton chiede un'inchiesta sul ruolo del rais nell'attentato di Lockerbie, anche se non si sa su quali basi.
Ad agosto i registi della nuova saga di Libyan Wars si sbizzarriscono. Il 23 alcuni senatori democratici dello Stato di New York si rendono conto, con due anni di ritardo, di quale profonda ingiustizia sia stata commessa col rilascio di al-Megrahi e chiedono ai ribelli di arrestarlo. Il ministro della giustizia del Consiglio Nazionale Transitorio ha la faccia tosta di rispondere "non consegniamo cittadini libici, questo lo faceva Gheddafi", e ovviamente nessun giornalista ricorda che la Libia aveva resistito ad un embargo di circa sei anni, prima del processo per Lockerbie.
Il 26 agosto la gara per la notizia più fantasiosa su Gheddafi ha indubitabilmente il vincitore del primo premio: impossibile superare una tale dimostrazione di creatività giornalistica. "Il colonnello è fuggito con l'attentatore di Lockerbie." "Quell'uomo sa troppe cose - ha detto un medico canadese che vive nei pressi della villa - Gheddafi lo ha portato con sè, ovunque sia andato". Voi immaginate: dopo mesi e mesi in cui Gheddafi, a loro dire, si è macchiato di ogni delitto possibile e immaginabile, dal bombardamento di intere città al massacro di manifestanti, che fa? Fugge, e per cancellare le tracce di una delle sue malefatte giovanili, si porta dietro al-Megrahi, un uomo in sedia a rotelle. Neanche a dirlo, appena due giorni dopo un reporter della Cnn rintraccia il nostro uomo: è disteso in un letto d'ospedale, con una mascherina per l'ossigeno, ormai in fin di vita.
Ma vediamo di capire qualcosa in più della tragedia del Pan Am 103. Come sono state condotte le indagini? Come si è arrivati a dimostrare il coinvolgimento dei libici? Quali sono state le conseguenze per la Jamahiriya Libica? Perché al-Megrahi è sempre stato considerato come un ostaggio politico dal governo di Gheddafi?


2. Verità su misura

Il Lockerbie è l'11 settembre della Scozia. In tutti i sensi.
In quest'attentato perdono la vita molti cittadini statunitensi e britannici, perché il volo Pan Am 103 viaggiava da Heathrow al JFK di New York. Per questo motivo la polizia scozzese collabora con l'FBI durante le indagini.
Pierre Péan, giornalista investigativo francese, ha scritto un libro intitolato "Manipolazioni africane" che smaschera le prove truccate del terrorismo libico. Tom Thurman, l'agente dell'FBI esperto dell'unità esplosivi che ha svolto un ruolo fondamentale nella vicenda del Lockerbie, è noto per seguire metodi di dubbia scientificità (si fa un'opinione o se ne fa suggerire una, e poi cerca di dimostrarla), tanto che è stato sospeso dal servizio per aver fabbricato delle prove per dimostrare la colpevolezza di un imputato.
In questo periodo Thurman lavora contemporaneamente al caso Lockerbie e all'attentato all'aereo dell'Uta. Inizialmente gli indizi sembrano condurre al Fronte Nazionale di Liberazione Palestinese Commando Generale (FPLP-CG) di Ahmed Jibril, e quindi, seguendo i finanziamenti, in Siria. Finché un giorno Thurman trova un frammento di circuito stampato, che sarebbe stato all'origine dell'esplosione della bomba: nel giugno '90 presenta una foto al direttore della Mebo, la società svizzera produttrice, che dice "è possibile che provenga da un lotto venduto ai servizi segreti libici", salvo poi escludere categoricamente questa possibilità quando rivede il timer al microscopio durante il processo nel '99, aggiungendo che quel timer non era stato collegato elettricamente e non era nemmeno lo stesso della foto. Nel maggio 2000, quando la giustizia scozzese gli chiede di riesaminare il pezzo, lo trova addirittura carbonizzato.
Il caso (o il datore di lavoro di Thurman) vuole che nell'estate del '91 si verifichi una svolta fondamentale anche nelle indagini dell'altro attentato all'aereo dell'Uta: lavorando sulle foto dei frammenti trovati in una cinquantina di chilometri nel deserto del Teneré, SuperTomTom identifica un piccolo pezzo di circuito stampato con il marchio TY, che permette di risalire alla Tayoun di Taiwan, che ha fabbricato 120mila timer di questo tipo, di cui 20mila per un'impresa di Friburgo, che ha tra i suoi 350 clienti un tedesco, il quale si è recato nel novembre 1988 in Libia per consegnare dei timer. Bingo!

E' curioso che il cambiamento di rotta nelle indagini si verifichi:
1- nello stesso arco temporale e cioè nel momento in cui scoppia la crisi del Golfo, quando Siria ed Iran si uniscono alla coalizione anti-irachena, quindi con gli Stati Uniti;
2- grazie al ritrovamento di due piccoli frammenti dei timer delle bombe che miracolosamente ne permettono l'identificazione, con tanto di sigla della ditta.
Tornando al caso Lockerbie, non è stato difficile addossare la colpa alla Libia, ignorando tutte le altre piste: Gheddafi era noto come sponsor di organizzazioni terroristiche, in più gli aerei che nell'86 avevano bombardato Tripoli uccidendo, tra gli altri, la figlia del rais, erano decollati da basi americane in Scozia, quindi è stato sufficiente alimentare l'idea della vendetta del tiranno ferito e il gioco era fatto. Del resto, come scrive Massimo Mazzucco, "un tiranno con una figlia uccisa in quel modo diventa per tutti un comodo attaccapanni, al quale si possono appendere anche i più remoti attentati della Patagonia o delle isole di Pasqua".  [Nota Bene: la figlia che ieri i media hanno strumentalizzato per alimentare quest'idea facilmente vendibile alle masse, oggi dicono che in realtà sia sopravvissuta, per screditare in qualsiasi modo Gheddafi e neutralizzare ogni sua dichiarazione: neanche un dubbio vent'anni fa? Forse non ci ha guadagnato solo il Colonnello nella sua propaganda antiamericana]
Come hanno fatto gli instancabili detective inglesi ad arrivare ad al-Megrahi?

3. Il caso Al-Megrahi

Frugando tra le cianfrusaglie del disastro i poliziotti trovano i resti di un abito da bambino, con tracce di esplosivo talmente pesanti da far concludere agli investigatori che fosse nella stessa valigia della bomba, eppure quello straccio semicarbonizzato conserva ancora un'etichetta intatta e leggibile, che recita: Made in Malta. Gli ispettori Gadget vanno di corsa a Malta e, cerca di qui, chiedi di là, trovano il venditore, certo Tony Gauci. Appena li vede, Gauci si ricorda di aver venduto abiti da bambino ad un libyan looking man proprio tre settimane prima dell'attentato. E come potrebbe non ricordarsene? E' passato solo qualche anno.
"Fino a quel momento non avevamo elementi per collegare la Libia all'attentato", dichiara Dick Marquise, capo del Terrorist Research Center dell'FBI, in un documentario della BBC.
Poi si inventano la storia della valigia imbarcata giorni prima a Malta, dove lavora come direttore della Libyan Airlines l'agente libico Al-Megrahi, che sarebbe stato aiutato nell'organizzazione dell'attentato dal collega Fimah.

Nel 2001 la Corte Scozzese condanna Al-Megrahi e assolve l'altro imputato, decisione bizzarra dato che secondo l'impianto giuridico del processo i due sono legati a doppio filo. Robert Black, docente di legge dell'Università di Edimburgo, ha detto chiaramente che questa sentenza è la più colossale vergogna nella storia del sistema giuridico scozzese, frutto di una montatura con prove fabbricate dalla Cia.
Nel 2003 Gheddafi accetta di pagare i risarcimenti alle vittime, ma nega fermamente ogni responsabilità negli attentati, obiezione mai menzionata dai media, che anzi raccontano l'esatto contrario. Inoltre l'accordo per il pagamento prevede la revoca delle sanzioni Onu, la revoca dell'embargo statunitense e la cancellazione della Libia dalla lista nera degli Stati terroristi.

Dopo tutto questo ambaradan per incolpare la Libia, trovare il colpevole, farsi consegnare il sospettato, processarlo, nel 2009, dopo neanche otto anni, gli inglesi liberano l'ex agente dei servizi libici. La motivazione ufficiale parla di ragioni umanitarie, perché hanno diagnosticato al prigioniero un grave tumore.
Quello che però la stampa non dice, che è sempre di gran lunga più importante di quello che dichiara, è che nel 2009 al-Megrahi aveva fatto ricorso in appello, richiesta accettata dalla Corte di Revisione Penale Scozzese. La testimonianza del commerciante maltese, che ha fornito l'elemento chiave contro al-Megrahi, è stata comprata 2 milioni di dollari. Ed il frammento del circuito usato per la fabbricazione della bomba è stato alterato.
Gli alleati, per evitare figuracce, o peggio la richiesta di restituzione dei risarcimenti da parte di Gheddafi, spalancano immediatamente i cancelli. Abdel Al-Megrahi viene accolto in patria come un eroe nazionale perché grazie al suo "sacrificio" la Libia ha potuto voltare pagina, uscire dall'isolamento, liberarsi dal peso dell'embargo e delle sanzioni e tornare a sedersi alla tavola rotonda dei grandi affari.
Un altro dettaglio tralasciato dalla stampa è che, dopo essere stato rilasciato, l'"attentatore di Lockerbie" si è preso la briga di aprire un sito internet [megrahimstory] rendendo disponibili i dossier con cui intendeva dimostrare la sua innocenza in tribunale. Tipico di un terrorista.
Ma se non è stato Al-Megrahi chi ha organizzato l'attentato di Lockerbie?

4. Dirty little secret

"Credevo di dirigere una compagnia aerea, non un servizio di corrieri del narcotraffico"
Presidente della Pan Am Airlines

Nell'89, siccome i familiari delle vittime hanno intentato una causa multimiliardaria contro la  Pan Am Airlines e la sua compagnia di assicurazione, quest'ultima, per evitare una perdita così ingente, assume l'Interforce, una società di New York di ex agenti dell'intelligence che offrono servizi a privati come banche o assicurazioni, quando occorre distruggere una copertura dei servizi e svelare la realtà dei fatti.
Il rapporto dell'Interforce sul volo Pan Am 103 rivela che sull'aereo esploso sopra Lockerbie viaggiavano 8 agenti dei servizi segreti statunitensi, infiltrati nel narcotraffico. Si scopre che da anni Cia e Dea (l'agenzia anti-droga americana) usano i voli della Pan Am per gestire un traffico di oppio ed eroina tra il Libano e gli Stati Uniti, per salvare il giornalista Terry Anderson e altri ostaggi a Beirut. L'Operazione Corea permette ai narcotrafficanti siriani, guidati da Mozer Al-Kassar (amico del generale americano Oliver North, coinvolto nello scandalo Iran Contra) di esportare eroina nella Valle del Bekaa negli Stati Uniti, in cambio di informazioni sugli ostaggi. La Cia si accerta che le valigie non vengano perquisite alla dogana.
La crisi degli ostaggi dura anni, tanto che qualcuno incomincia a sospettare che ci sia un agente corrotto che fa il doppio gioco, avvisando i terroristi ogni volta che stanno per essere circondati, in cambio di una parte dei narcodollari.
Nel dicembre '88 una squadra di agenti della Difesa organizza una protesta formale contro la complicità della Cia nel traffico di eroina in Medio Oriente. Washington invia una squadra in Libano per raccogliere prove. Proprio sul Pan Am 103 viaggiava una squadra di investigatori della Cia e dell'Fbi, il vicecapo della Cia assegnato a Beirut e tre ufficiali della Defence Intelligence, di ritorno dalla missione. Tra i rottami del Lockerbie viene trovata una valigia piena di eroina per un valore di 500mila dollari: era la prova della complicità nel narcotraffico.

L'elemento più inquietante, comune anche ad altri attentati, è che prima del disastro ci sono stati vari avvertimenti, da parte di servizi segreti o agenzie governative, tutti disgraziatamente ignorati o non pervenuti al destinatario. 
Il Dipartimento di Stato Usa ha inviato direttive ai funzionari governativi per farli scendere da quello specifico aereo in quel particolare giorno, perché ci si aspetta che succeda qualcosa. Casualmente nessuno avvisa la squadra di agenti che sta tornando per smascherare la copertura.

Il 21 dicembre 1988 un centinaio di persone che dovrebbe imbarcarsi a Heathrow disdice il volo all'ultimo minuto, lasciando il posto ad un gruppo di studenti della Syracuse University che viaggiano in lista d'attesa per le vacanze di Natale.

"E' stato un atto mostruoso!" scrive Susan Lindauer, ex agente Usa, che ha deciso di rompere i suoi legami con questa propaganda criminale. "Per anni ho detto che il terrorista che ha messo la bomba a bordo del Pan Am 103, conosciuto come l'attentato di Lockerbie, vive a circa 8 miglia da casa mia, nella contea di Fairfax, in Virginia. La sua vita di privilegi e protezione, gratificato con alte promozioni nell'intelligence degli Stati Uniti, è stata la ricompensa per il silenzio sul coinvolgimento della Cia nel traffico di droga in Libano durante gli anni '80".
Ahmed Jibril, dell'organizzazione terroristica palestinese Fplp-Cg stava organizzando in quel periodo un attentato per vendicare l'abbattimento di un aereo civile iraniano, causato per errore dai militari americani. E' probabile che la Cia abbia dato più di qualche suggerimento sugli orari dei voli, per poi insabbiare l'inchiesta anche per evitare spiacevoli conflitti di interessi nelle relazioni internazionali statunitensi.

5. Conclusioni

Proprio come per l'11 settembre sono nate associazioni e blog per la ricerca della verità sull'attentato di Lockerbie, ma i media mainstream in tutti questi anni non hanno fatto altro che tenere nascoste le informazioni che avrebbero potuto anche solo mettere in dubbio la versione ufficiale. 
Tutte queste informazioni sono dispobibili in rete. Ma nessuno degli araldi del potere è disposto a prenderle in considerazione. E' molto più comodo copia-incollare le varie agenzie della Propaganda ed etichettare qualsiasi tentativo di dare una spiegazione logica ai fatti come "teoria della cospirazione", piuttosto che verificare le fonti e fare qualche ricerca.





6. Curiosità

  • Nell'agosto 2009, prima della liberazione di Al-Megrahi, il figlio di Gheddafi, Saif Al-Islam, ha incontrato Lord Mandelson Rothschild nella sua villa sull'isola di Corfù.
  • Nel 2008 il fondo sovrano libico affida 1,3 miliardi alla Goldman Sachs per investirli in particolari strumenti finanziari. Dopo l'inverno della crisi in cui fallisce Lehman Brothers, il valore dell'investimento della Libia crolla del 98%: nel febbraio 2010 ammonta a 25,1 milioni.
  • Nell'estate 2009 Gheddafi esercita forti pressioni sulle compagnie petrolifere americane e britanniche perché paghino tasse speciali e percentuali per coprire i costi del risarcimento alle famiglie delle vittime del Pan Am 103.
 Associazioni per la verità su Lockerbie

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sabato 3 settembre 2011

Terroristi sono sempre gli altri, Pt. 2 - Missili su Lampedusa


A febbraio, dopo il voltafaccia di rito dell'Italia, si diffuse qualche timore di eventuali vendette di Gheddafi. "Dobbiamo stare attenti con Gheddafi, è un pazzo. Ci ha già sparato un missile un'altra volta...", disse Berlusconi.
Dopo il raid di Reagan su Tripoli, la sera stessa del 15 aprile 1986, vennero lanciati due missili Scud, in dotazione alle forze armate libiche, che esplosero a pochi chilometri dalle coste di Lampedusa, dov'era collocata una base Nato. Questo attacco segnò la fine delle relazioni tra Italia e Libia e mandò in fumo grandi affari.
La prima segnalazione arrivò dagli americani. La Marina spedì un'unità verso le coste libiche, ma non trovò nessuna nave nemica. L'Aeronautica inviò due intercettori che non rilevarono nessuna attività di volo in zona. Allora, se nei 300 chilometri che separano le coste libiche da quelle italiane non c'era nessuno in giro, da cosa era stata provocata l'esplosione? Gli americani, che coi loro satelliti avevano visto e fotografato il lancio, informarono gli italiani che si trattava di due Scud di fabbricazione sovietica sganciati dai territori libici. Il generale Giannatasio affermò in seguito di ricordare la notizia delle foto del satellite ma non di averle viste. Così anche Andreotti. Pare inoltre che i pescatori di Lampedusa rimasero sorpresi dell'assenza di pesci morti, dato che una bomba a mano con pochi grammi di esplosivo riempie cassette di pesce, figuriamoci un missile che ne ha tonnellate. E invece niente. Inoltre gli Scud sono lunghi 11 metri e lasciano rottami di grandi dimensioni: i militari ne cercarono per anni, ma non trovarono nulla.
"Non credo siano stati lanciati missili contro Lampedusa. Molte organizzazioni extranazionali erano allora interessate al fatto che il governo italiano adottasse una politica di più forte chiusura nei confronti della Libia" ha dichiarato nel 2005 il Generale Cottone, allora capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare.
Ma c'è dell'altro: in quel periodo era in vigore un accordo segreto con l'allora ministro dell'interno della Tunisia, Ben Ali, per monitorare le rampe di Scud piazzate al confine da Gheddafi; e da Tunisi non arrivò nessuna segnalazione. Che non siano arrivati dalla Libia i "missili"?
Anche perché oggi è ormai noto a tutti che se Gheddafi si salvò dai bombardamenti statunitensi, fu per un avvertimento di Craxi. Il governo italiano di quel periodo seguiva una linea filo-araba: Craxi manteneva ottimi rapporti con i palestinesi e Andreotti con i libici. Per questo gli americani non si fidavano degli italiani, i quali non furono informati in anticipo del raid su Tripoli. Il ministro spagnolo Felipe Gonzalez contattò Craxi per comunicargli che una ventina di cacciabombardieri F111 aveva passato lo Stretto di Gibilterra. Solo dopo essere partiti gli americani chiesero il permesso di sorvolo, permesso che Craxi negò: "Non potete chiedermelo quando siete già partiti!". Poi fece avvertire Gheddafi.

Il senatore Cesare Marini parlando di quest'episodio l'ha interpretato come un bluff per coprire l'amico italiano. Sembra strano però visto che Bettino la prese talmente male che pensò di contrattaccare, ma abbandonò ogni progetto per il rischio di vittime civili.
La soffiata di Craxi, confermata nel 2007 da Cossiga e nel 2008 dal Ministro degli esteri di Gheddafi, ai tempi ambasciatore libico in Italia, e raccontata anche dal figlio Bobo, ci porta a due conclusioni: o Gheddafi è scemo e attacca chi gli salva la pelle, o gli Scud (o qualsiasi cosa fossero) non provenivano dalla Libia. Potrebbe essere stata un'operazione di disinformazione montata per spingere il governo italiano su posizioni più intransigenti nei confronti del Colonnello? Qualcuno ha ipotizzato che le esplosioni furono provocate da caccia supersonici degli Stati Uniti. Considerato che è emerso da documenti desecretati nel 2006 della Casa Bianca e della Cia che in realtà nell'86 vennero organizzati più bombardamenti in serie per rovesciare il regime di Gheddafi, può essere che gli americani tentarono con questa provocazione di crearsi un alleato che diversamente sarebbe stato contrario ad un'azione militare contro la Libia.

Un elemento non di poco conto a sostegno di questa teoria viene fornito da un'illuminante articolo di Morandi, un inviato che (s)fortunatamente perse l'aereo per Tripoli e dovette prendere quello per Bengasi; non potendo partecipare alla conferenza stampa di Gheddafi si fece dare per telefono dall'interprete la traduzione integrale del discorso del rais. E tra le altre cose c'erano i ringraziamenti a Craxi per averlo messo in guardia. Paradossalmente ai giornalisti che avevano incontrato Gheddafi e non avevano avuto la traduzione simultanea venne consegnato un testo epurato da quei riferimenti. Crolla dunque l'ipotesi del bluff libico per coprire gli amici italiani: ti mando due missili per allontanare i sospetti da te e poi ti ringrazio in diretta tv?
Piuttosto andrebbe riconsiderata la spiegazione data da Cossiga: i missili non affondarono al largo di Lampedusa per un caso, fu una scelta suggerita dai consiglieri militari sovietici,  all'epoca presenti in Libia, ai quali dava fastidio che Lampedusa ospitasse una stazione aeronavale americana che governava il traffico della flotta statunitense nel Mediterraneo; il lancio dei missili fu quindi un avvertimento rivolto agli USA e non all'Italia.

Difficile ricostruire esattamente cosa sia successo quel 15 aprile tra Lampedusa, Tripoli e Roma ma, al di là dell'episodio in sè, dal modo in cui questa vicenda è stata trattata dai media emerge che:
1) bisogna aspettare almeno dieci, vent'anni per poter avere un chiarimento su determinati fatti, in parte perché alcuni documenti vengono nascosti dal segreto di Stato, in parte perché l'informazione fornita dai giornali è assolutamente piatta: nessuno fa domande.
2) possono dare qualsiasi notizia, inventata, verosimile, assurda, riciclata, perché la maggior parte delle persone non conosce i retroscena e ragiona secondo canoni forniti dagli stessi media: nessuno si fa domande.

venerdì 2 settembre 2011

Terroristi sono sempre gli altri, Pt. 1 - L'attentato al La Belle: false flag



La leggerezza con cui i media sparano notizie sulla Libia farebbe impallidire anche i più efferati contaballe del calciomercato. La nonchalance sfoggiata da certi cosiddetti giornalisti nel riportare gli aggiornamenti dettati dalle agenzie di stampa senza la benché minima verifica, con buona pace della tanto decantata quanto snobbata deontologia professionale, dovrebbe suscitare rivolte di masse di cittadini indignati (altro che primavere arabe!) e invece non fa altro che generare masse rivoltanti di androidi psicoprogrammati.
Siccome ormai non sanno più che cosa inventare per giustificare l'ennesimo "intervento umanitario", dopo cimiteri caratteristici in riva al mare mascherati da fosse comuni, uomini addestrati dalla Cia travestiti da leader dell'opposizione, combattenti in divisa guidati dalla Nato presentati come ribelli della domenica, stanno ritrasmettendo vecchi episodi della saga libica per ricordarci continuamente che Gheddafi è il cattivo: per questo motivo sentiamo parlare negli ultimi giorni di Hana Gheddafi, la figlia probabilmente non-morta del Colonnello e di Al-Megrahi, l'improbabile responsabile dell'attentato di Lockerbie non-ancora-ma-quasi-morto. La propaganda ha lavorato talmente bene che è impossibile difendersi da questo diluvio di cazzate, se non si fa un passo indietro.

"Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato."
1984, Orwell

Tra Stati Uniti e Libia non è mai corso buon sangue. Tralasciando l'episodio di Ustica del 1980, in cui invece dell'aereo che trasportava Gheddafi venne colpito per errore un aereo civile italiano, i soliti Alleati tentarono in tutti i modi di far fuori la Guida della Rivoluzione che portò alla caduta della monarchia di re Idris nel 1969.


Nell'estate del 1981 il Newsweek pubblicò un articolo che denunciava "Un piano per rovesciare Gheddafi", una costosa campagna di destabilizzazione messa in atto dalla Cia, in accordo con alcuni membri del Congresso, che prevedeva: un programma di disinformazione per mettere in difficoltà il governo del Mu'ammar, la creazione di un governo di opposizione che sfidasse la sua leadership e una campagna paramilitare condotta attraverso operazioni di guerriglia.
Un interessante articolo di Repubblica del febbraio 1987 rese pubblico il tentativo della Casa Bianca di convincere l'Egitto a invadere la Libia con l'appoggio militare statunitense, per rovesciare Gheddafi e ridisegnare la mappa del Nord Africa: nel 1985 Reagan mandò l'ammiraglio Poindexter a parlare con Mubarak, il quale non lo lasciò neanche finire e rispose "Guardi, Ammiraglio, se e quando attaccare la Libia lo decidiamo noi"; non contento, Reagan nel gennaio 1986 firmò una direttiva segreta che autorizzava la Cia a rapire sospetti terroristi in altri Paesi per processarli in America.

Il 5 aprile del 1986 esplose una bomba nella discoteca La Belle, Berlino Ovest, frequentata da molti soldati americani: ci furono 3 morti e 230 feriti. Subito si puntò il dito contro la Libia, colpa anche delle sciagurate dichiarazioni di Gheddafi di pochi giorni prima. Ma la prova incriminante venne fornita dall'NSA, l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, che aveva intercettato un messaggio radio inviato dall'ambasciata libica in Germania a Tripoli: "L'operazione è stata portata a termine con esito positivo".



Reagan non aspettava altro. E infatti il 15 aprile dalle basi americane in Scozia decollarono 45 aerei che sganciarono 232 bombe e 48 missili su Tripoli, colpendo la caserma Bab el Azizia, residenza di Gheddafi, e alcuni quartieri civili, uccidendo ottanta/sessanta/quaranta/venti/una decina (?) di persone: quando si tratta delle perdite del nemico non è importante essere precisi e la stampa asservita ad ogni articolo sul raid dell'86 toglie almeno dieci morti per volta (di questo passo nel prossimo articolo scriveranno che i caccia quel giorno si sostituirono alle cicogne e regalarono una decina di bambini ai libici), per cui, facendo una media ponderata approssimativa direi di segnarne 50. Il colonnello sopravvisse grazie ad un avvertimento da parte dell'antiamericano Craxi, Presidente del Consiglio italiano, (vedi Sigonella), ma perse la figlia adottiva Hana, di pochi mesi.

Victor Ovstrovsky, che in quel periodo lavorava nei servizi segreti israeliani testimonierà qualche anno dopo che il Mossad aveva installato un cavallo di Troia a Tripoli: un trasmettitore che inviava messaggi falsi, per fare in modo che venissero intercettati dagli americani e far quindi sembrare che il governo libico stesse trasmettendo ordini alle ambasciate per organizzare azioni terroristiche. E infatti questi messaggi vennero decifrati e considerati come una prova del ruolo della Libia come sponsor del terrorismo.
I francesi e gli spagnoli si insospettirono, perché sembrava strano che i libici, che erano stati estremamente attenti in passato, dalla sera alla mattina, si fossero messi a organizzare attentati sulla pubblica piazza. Senza contare che alcuni report del Mossad erano stranamente codificati in maniera molto simile alle comunicazioni libiche. Per questi ed altri motivi i francesi negarono ai cacciabombardieri americani il permesso di sorvolare la loro zona aerea per attaccare la Libia.
Addirittura durante il processo ai cinque imputati dell'attentato, il procuratore Neumann affermò che c'erano prove inconfutabili che la Stasi, il servizio segreto della Germania Est, fosse a conoscenza dei preparativi del complotto ma non fece nulla per impedirlo.
Insomma l'attentato alla discoteca La Belle fu una perfetta operazione false flag.

Alla luce di tutto ciò non si può che rabbrividire di fronte ai titoloni sui giornaletti dell'agosto 2011 "Hana Gheddafi è viva. Gheddafi ha mentito!" e ai commenti cinici di insignificanti lacché, che, invece di tirare un sospiro di sollievo per la "resurrezione" di una bambina di un anno che in ogni caso non avrebbe avuto nessuna colpa, si scandalizzano perché Gheddafi avrebbe preferito "farsi compatire piuttosto che ricordare che quei missili erano la risposta di Reagan all'attentato alla discoteca La Belle" e avrebbe sfruttato le circostanze per creare uno "strumento formidabile della propaganda del regime contro l'Occidente" (infatti era proprio a corto di argomenti, dopo qualche manciata di tentativi di colpi di stato e attentati a suo danno).


venerdì 19 agosto 2011

Priorità da rivedere

Qualcuno ha affermato che "dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire una strada per mancanza di chilometri". Logico, no? I chilometri servono soltanto per misurare la lunghezza della strada, non per costruirla. I soldi misurano il valore di un libro, di uno stereo, di un ospedale, ma il vero valore sta nel libro, nello stereo, nell'ospedale. La moneta quindi serve per misurare il valore dei beni esistenti. Abbiamo perciò due tipi di ricchezza: quella reale (i libri) e quella monetaria (i soldi rimasti nel portafoglio).
Siccome il valore della moneta è creato dalla convenzione sociale, non ha importanza la materia attraverso la quale si manifesta il denaro, tant'è vero che noi utilizziamo banconote di carta o addirittura simboli elettronici, che per essere prodotti richiedono un costo pressoché nullo.
In un sistema economico logico quindi, se ci fosse bisogno di un ospedale, lo Stato stamperebbe una quantità di moneta pari al valore dell'ospedale appena creato. Come l'ingegnere che per misurare la nuova autostrada avrà bisogno di un metro più lungo, il popolo avrà bisogno di più moneta perché il valore dei beni reali esistenti è aumentato.
Nella realtà non funziona così. Perché, in Italia, come in Gran Bretagna, come in Francia, e via dicendo, non sono gli Stati ad emettere moneta, ma la Banca Centrale Europea, che è indipendente dai governi politici degli Stati membri.
Il problema è che la banca centrale emette moneta in un solo modo: prestandola. Lo Stato italiano è costretto ad indebitarsi con la BCE per poter disporre di nuovi simboli monetari.
Come è possibile? Un tempo le banche centrali gestivano le riserve di oro ed emettevano titoli di credito rappresentativi delle pepite d'oro che restavano al sicuro nelle casseforti delle banche. Con il passare degli anni questo oro non bastava più nella nuova economia per misurare il valore delle merci e dei servizi che venivano scambiati ormai a livello mondiale, così si decise di abolire la riserva aurea: da quel momento la moneta non ebbe più altra base se non la fiducia di chi la utilizzava.
Le banche centrali però continuarono ad emettere le banconote come se fossero ancora dei titoli di credito, con una piccola differenza: a quel punto le banconote erano diventate false cambiali. Il proprietario della moneta, creditore apparente, divenne così vero debitore nei confronti del governatore della banca che emetteva moneta prestandola.
Dato che, come ha spiegato Auriti (e come suggerirebbe la logica) tutti possono prestare moneta tranne chi la emette, altrimenti la moneta diverrebbe non più oggetto di debito, ma debito essa stessa, ci ritroviamo oggi in una specie di trappola per topi: la moneta che utilizziamo, lungi dall'essere un valore, è in realtà un debito verso le banche centrali, che lucrano sulla differenza tra il costo (quasi nullo) di produzione e il valore nominale della moneta.

Alla luce di queste "nuove" considerazioni sarebbe auspicabile un riadattamento della nostra scala di valori. Se tutta la moneta è debito, vogliamo ancora perdere tempo a parlare di auto blu, falsi invalidi, stipendi dei parlamentari, ... eccetera eccetera? Mentre le tv e i giornali parlano continuamente dei privilegi della casta per dirottare la rabbia del popolino su problemi secondari, lo Stato, privo di sovranità monetaria e di conseguenza privo di qualsiasi potere, esegue perfettamente le direttive dei banchieri e procederà a ulteriori privatizzazioni e svendite dei beni pubblici. Evidentemente qualcuno preferisce lasciarsi derubare mentre se ne sta in salotto a parlare dell'ultima escort di Berlusconi o di quanto spendono a pranzo i deputati. 
E' come se andaste in banca e, dopo aver accettato un mutuo all'80% di interesse, vi incazzaste perché la quindicesima del tizio che sta allo sportello è il doppio del vostro stipendio. Fessi due volte.
La domanda è: se aveste cinque minuti in televisione parlereste delle auto blu e del menù di Montecitorio o del signoraggio bancario che ci rende schiavi di un debito pubblico non dovuto?
"Loro" contano sul fatto che, su 1000 persone che potrebbero leggere questo articolo, 999 continueranno a ragionare come prima. Perché "così fan tutti", perché "sul mio libro di scienze delle finanze c'è scritto che è normale che non pagheremo mai il debito pubblico perché è talmente enorme che è impossibile", perché "l'evasione fiscale ruba un sacco di soldi allo Stato", perché "pensa cosa succederebbe se i nostri politici gestissero la moneta", perché chissenefrega.

martedì 9 agosto 2011

Manuale d'uso per una vera Rivoluzione

"Oggi la moneta nasce di proprietà della banca che la emette prestandola ai cittadini. Noi vogliamo che nasca di proprietà dei cittadini e che sia accreditata ad ognuno come "reddito di cittadinanza."  Giacinto Auriti
Come nasce il valore della moneta? Chi lo crea? Perché gli Stati sono indebitati con le banche centrali? Lo ha spiegato Giacinto Auriti, docente e fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Teramo, nel libro "Il paese dell'utopia", disponibile gratuitamente in rete.

Definizione di moneta 
 
Tutte le scuole economiche non hanno ancora capito cos'è la moneta. Per questo o negano che la moneta sia un bene economico (nichilismo monetario) e la considerano come un “nulla” o uno strumento neutro nello scambio, oppure la definiscono in termini di debito/credito. Se fosse vera la prima ipotesi, per noi dovrebbe essere indifferente avere denaro in tasca o non averne e dovremmo rimettere in libertà tutti i ladri perché avrebbero rubato “nulla”. Se fosse vera la seconda un debito di denaro sarebbe un debito di un debito, quindi un nonsenso.
La moneta è invece un bene reale, in quanto misura del valore e quindi valore della misura.
La moneta è misura del valore. Poiché ogni unità di misura ha in sé la qualità che deve misurare, così come il metro ha necessariamente la qualità della lunghezza, la moneta ha necessariamente la qualità del valore, perché misura il valore.

Definizione di valore

L'altro errore sta nell'aver concepito il valore come dimensione dello spazio, in seguito ad una concezione materialistica del valore. Mentre lo spazio è solo presente, tutto il resto è tempo.
Il valore è un rapporto tra fasi di tempo, il rapporto tra il momento di previsione e il momento previsto. Noi accettiamo moneta contro merce, sapendo che potremo riutilizzare moneta contro merce.
Dopo queste premesse si spiega come tutti i monetaristi, dopo aver accettato all'unanimità la definizione della moneta come misura del valore si sono limitati a definirla come mero strumento di scambio, andando alla ricerca del valore monetario al di fuori della moneta.
Quando si parla dell'oro e del cosiddetto valore intrinseco come se fosse una proprietà insita nel metallo, ci si dimentica che anche l'oro ha valore perché ci si è messi d'accordo.
Il valore della moneta è quindi sempre un valore indotto, frutto di una convenzione sociale. Poiché la convenzione è una fattispecie giuridica ed ogni unità di misura è stabilita per convenzione, la materia prima per creare moneta è la stessa che serve a creare fattispecie giuridiche: spazio e tempo.
Lo spazio è la materia con cui il simbolo monetario si manifesta. Il tempo è la previsione della possibilità di comprare.

Indotto fisico e indotto giuridico


Mentre il valore del credito è commisurato al valore dell'oggetto del credito, il valore convenzionale è creato dalla stessa convenzione e la sua entità è liberamente concepita dall'accordo tra le parti. Nasce così un valore che non ha altro costo che l'attività mentale delle parti e l'elemento materiale necessario alla sua manifestazione formale.
    Come nell'indotto fisico nasce energia elettrica quando comincia la rotazione della dinamo, analogamente nasce il valore monetario all'atto dell'emissione nelle mani dell'accettante perché ne prevede la ulteriore cessione e circolazione nell'indotto giuridico.”
Distinzione tra valore creditizio e valore monetario

E' tempo ormai di uscire definitivamente dall'equivoco che spaccia sotto la parvenza di valore creditizio il valore monetario.
Quando si è preteso di giustificare il valore monetario sulla base della riserva d'oro confondendo e spacciando sotto la parvenza di valore creditizio il valore indotto, si è configurata la moneta non come misura del valore, ma come titolo di credito rappresentativo della riserva. La moneta non è credito, ma oggetto di credito.
Del resto, se fosse vero che la riserva serve a conferire valore alla moneta, dopo la cessazione degli accordi di Bretton Woods il dollaro avrebbe dovuto perdere totalmente il suo valore, mentre così non è stato.
Differenze fondamentali tra moneta e credito:
1) il credito si estingue col pagamento, la moneta continua a circolare dopo ogni transazione eseguita, perché come ogni unità di misura è un bene ad utilità ripetuta;
2) il valore del credito è sottoposto al rischio dell'inadempimento, mentre il valore monetario è attuale e certo, essendo per induzione giuridica bene reale, garantito come oggetto di diritto di proprietà;
3) nel credito prima si vuole il precetto normativo, poi lo si manifesta; nella moneta prima si crea la manifestazione formale, cioè i simboli monetari, poi le si attribuisce il valore all'atto dell'emissione.
4) il valore del credito è causato dalla promessa del debitore, il valore della moneta è prodotto dall'accettazione del primo prenditore, perché egli sa, come membro della collettività, che sarà accettata da tutti come convenzione monetaria.

Il valore della moneta è creato da chi l'accetta, non da chi la emette. Oggi la moneta è emessa sotto forma di falsa cambiale. Il governatore della banca centrale, sottoscrivendo il simbolo monetario, induce la collettività nel falso convincimento che sia lui stesso a creare il valore monetario.



Nella relazione al disegno di legge sul conto intrattenuto dal Ministero del Tesoro presso la Banca d'Italia, approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993, è contenuta una preziosa dichiarazione, rara per la sua impudente sincerità: 
La ratio di queste disposizioni è evidente: garantire la piena indipendenza delle Banche Centrali e della Banca Centrale Europea, nella gestione della politica monetaria … In conseguenza non è consentito agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato, di esercitare signoraggio in senso stretto: ovvero di appropriarsi di risorse attraverso l'emissione di quella forma di debito inesigibile che è la moneta inconvertibile di corso legale” 
Dunque: 
1. esistono risorse che non sono di chi se ne appropria, altrimenti non sarebbe possibile appropriarsene; 
2. mentre non è consentito a nessuno di appropriarsi di risorse altrui, ciò è consentito per legge alle Banche Centrali, che emettono debito inesigibile.
Le “risorse” di cui si parla qui non sono altro che il valore indotto della moneta creato dalla collettività.
In tal modo la banca centrale non solo espropria ed indebita la collettività nazionale del suo denaro, ma pone le premesse per usurpare tramite la sovranità monetaria la stessa sovranità politica. 
La moneta come bene reale può essere oggetto di debito e di credito ma non debito essa stessa. Ecco perché tutti possono prestare moneta tranne chi la emette.
Una volta dimostrato che la moneta ha valore indotto causato dalla convenzione sociale, approfittando del fatto che l'emissione della cambiale è prerogativa del debitore, le banche centrali apparendo come debitori di false cambiali, si sono arrogate il potere di esercitare signoraggio per appropriarsi di risorse monetarie, espropriando e indebitando la collettività.
E' questa la grande usura intuita da Pound. Le banche centrali infatti chiedono agli Stati degli interessi sui prestiti concessi, interessi non dovuti dal momento che l'unico lavoro compiuto dal banchiere è quello tipografico.

"Il sistema moderno per imporre la schiavitù è il debito. L'usura è uno strumento per accrescere il debito, e per tenere il debitore indebitato per sempre o almeno per il tempo più lungo possibile.
È nera ipocrisia cianciare di libertà a meno che in essa non sia compresa la libertà di non indebitarsi.”  [Ezra Pound, L'ABC dell'economia]
Auriti ha denunciato Ciampi e Fazio per truffa, falso in bilancio, associazione a delinquere, usura e istigazione al suicidio. Il Procuratore generale aggiunto della Procura della Repubblica, Ettore Torri, ha convenuto che qui sussisterebbero gli estremi dell'elemento materiale della truffa, mancherebbe l'elemento psicologico del dolo. Le banche centrali hanno raggiunto un tale grado di professionalità della truffa da aver consolidato il convincimento di avere il diritto di farla.

Oggi l'uomo lavora per pagare debiti in una situazione di cronica insolvenza. Pretendere nell'attuale sistema di pagare un debito di denaro con denaro è come pretendere di pagare un debito con un altro debito. Non è possibile.”

Conclusioni


Tutto il denaro in circolazione è gravato di debito verso la banca centrale che lo emette in un solo modo: prestandolo. Per liberarci dalla schiavitù del debito e poter tornare ad una dimensione umana dobbiamo dichiarare la moneta di proprietà del portatore all'atto dell'emissione.
Potrebbe sembrare una rivoluzione impossibile o una teoria folle e strampalata, proprio come le teorie copernicane sul sistema eliocentrico devono essere apparse all'epoca.
Ma noi abbiamo una risorsa che mancava a Copernico: internet, un'arma che unita alla verità e alla necessità di questa rivoluzione monetaria potrebbe aiutarci a far sì che il cambiamento richieda tempi meno lunghi. Siamo nani sulle spalle di giganti.