sabato 30 luglio 2011

I soldi sono finiti

"Non si riuscirà a suscitare interesse per l'economia in nessuno finché non ci si renderà conto che si patiscono gli effetti di un sistema perverso."  Ezra Pound


Mentre l'ora è l'unità di misura convenzionale del tempo e la adattiamo alle nostre esigenze (ora legale), nel caso della moneta, che è l'unità di misura del valore, siamo noi a dover cambiare il nostro stile di vita per rispondere alle necessità dell'economia.
Galbraith diceva che lo studio del sistema monetario è alla portata di qualsiasi persona curiosa e mediamente intelligente, ma la maschera di complessità attribuita a questa materia l'ha ormai resa una scienza di pochi eletti (economisti).
Pieni di denaro, siamo senza moneta. Anche, e soprattutto, quando più pensiamo di averne. Perché quella che abbiamo non è moneta, e che cosa sia davvero la moneta l'abbiamo dimenticato. Per questo, prima di ogni teoria, prima di ogni politica, prima di ogni critica economica, ci urge oggi una storia monetaria: per tornare sulle tracce di una moneta perduta. La storia della moneta è la storia d'una perdita. Il primo compito è acquistare consapevolezza di tale perdita. Più grave della perdita, infatti, è che non ce ne rendiamo conto."
Così Luca Fantacci, professore di storia economica alla Bocconi di Milano, ricercatore in tema di sistemi monetari e pensiero del denaro, nonchè studioso di sistemi di monete complementari, inizia il suo libro "La moneta. Storia di un'istituzione mancata".
Nomisma, letteralmente “cosa stabilita per legge” significa “istituzione”. In assenza del riconoscimento della natura istituzionale della moneta l'economia non ha più limiti né misura se non quella, autoreferenziale, del suo continuo accrescimento. Le autorità politiche monetarie non hanno il potere di definire la misura perché, conseguentemente all'assunzione implicita del principio secondo cui la moneta non è altro che una merce, lo hanno abdicato alle forze del mercato, che ne determinano il prezzo.
Per comprendere come siamo rimasti "senza moneta" bisogna ripercorrere la storia della moneta dalle origini perché, come suggeriva Aristotele:
Se si studiassero le cose svolgersi dall'origine, anche qui come altrove 
se ne avrebbe una visione quanto mai chiara.”
 
L'ANTICO REGIME

Nel diritto romano la moneta era res principis e allo Stato garante spettava la prerogativa sulla mutatio monetae. Dai tempi di Costantino la falsificazione divenne reato di lesa maestà, non soltanto perché le monete recavano l'effigie del sovrano, ma perché falsificando la moneta si ledeva sia il singolo sia l'interesse del principe.

Come emerge dalla testimonianza del giureconsulto Paolo che affermava
essendo poi stata coniata con un marchio pubblico, può essere posseduta e utilizzata, non tanto in rapporto all'intrinseco, quanto alla quantità
per il diritto romano del tardo impero la moneta non aveva a che fare con la sua sostanza materiale, cioè con il metallo in essa contenuto. L'istituzione della moneta che si attuava con la coniazione del metallo serviva proprio per distinguere la merx dal pretium. La moneta era quindi innanzitutto misura, e in quanto misura poteva assolvere alla funzione di mezzo di scambio.

I barbari, pur utilizzando la moneta non ne avevano una propria, perché l'emissione di moneta richiedeva la presenza di due elementi: un sovrano e un sistema giuridico.
Per incontrare le prime monete di un re barbarico si dovette aspettare fino al 643, anno dell'Editto di Rotari, in cui si riservava esplicitamente e categoricamente al sovrano il diritto di battere moneta, con parole poco rassicuranti per i falsari:
Si qui sine iussinionem regis aurum figuraverit aut moneta confinxerit, manus ei incidatur”  [Se qualcuno senza il permesso del re avesse falsificato oro o coniato moneta, gli sarebbe stata tagliata la mano]

Nell'antico regime la moneta non è mai riserva di valore: “solo” misura e mezzo di scambio. L'autorità monetaria di antico regime consisteva essenzialmente nel potere di stabilire il rapporto tra i metalli e la moneta, potere che si esplicava nel signoraggio, ovvero nella definizione della differenza tra il valore della moneta e il valore di metallo in essa contenuto.

LO STANDARD METALLICO

Se fin dall'epoca romana il conio costituiva il segno della congiunzione e della distinzione tra moneta e materia, con lo standard metallico l'unità monetaria venne identificata con il metallo fino in essa contenuto. L'identificazione della moneta con il valore del metallo sarà il preludio alla loro separazione. 
Nel Cinquecento si cominciò a mettere in discussione la facoltà del principe di decidere autonomamente il valore legale delle monete all'interno del proprio Stato e per questo si fece in modo di limitare questo potere. 
L'istituzione dello standard metallico fu accompagnata, con un paradosso solo apparente, dalle prime emissioni di moneta cartacea.
Già nel XIII secolo i grandi mercanti italiani che operavano su scala europea, per rispondere alla richiesta di dilazioni tra importazioni ed esportazioni e tra lo scambio dei beni e i pagamenti, avevano istituito una rete di lettere di cambio. Le lettere di cambio sono il modo cinquecentesco della creazione monetaria privata. Le fiere (prima Lione, poi Bisenzone) rappresentano il luogo di compensazione delle lettere di cambio, luogo sottratto alla giurisdizione dei singoli Stati.

 IL GOLD EXCHANGE STANDARD
Se prima del gold standard la moneta è d'oro, dopo la moneta è oro. 
Il metallo pregiato venne istituito come misura sulla base della sua quantità. L'identificazione tra misura del valore e peso del metallo fino si porrà come premessa per una crescita potenzialmente illimitata del credito. 
L'oro diventa riserva, cessa di essere mezzo di scambio e diventa fine dello scambio. La riserva cancella la possibilità stessa che una misura si dia: se è la riserva a conservare il valore inalterato, non è una terza funzione della moneta, ma una incorporazione delle altre due (mezzo e misura). La moneta diventa così merce. La moneta-oro è la moneta di un'economia senza nomos, autonoma. 
Il dogma metallista e il suo superamento hanno lasciato un deficit istituzionale alla base delle istituzioni monetarie.
Con l'aggiunta della funzione di riserva di valore si creò inoltre il presupposto per la legittimazione del prestito a interesse, cosa che non aveva precedenti in tutto il pensiero occidentale. 
La creazione degli istituti di emissione inoltre fu una tappa fondamentale nel processo di confusione tra moneta e credito. Data significativa è il 1694, anno di fondazione della Banca d'Inghilterra. L'istituzione del signoraggio moderno nella forma di emissione di biglietti a corso forzoso avviene mediante l'identità tra debiti e moneta, tra riserva di valore e mezzo di scambio.

 IL DOLLAR STANDARD
Nel luglio del 1944, a Bretton Woods, una conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, dove gli alleati cercavano un compromesso sull'assetto monetario mondiale in vista del termine del conflitto, stabilì che il dollaro sarebbe rimasto l'unica moneta convertibile in oro. 
Gli Stati Uniti poterono da quel momento godere di un vantaggio esclusivo e, per dirla in altre parole – ma sempre con quelle di Fantacci - , esercitare il signoraggio a livello mondiale: essendo il dollaro una moneta nazionale accettata nei pagamenti internazionali, gli Stati Uniti possono finanziare le importazioni stampando moneta. L'egemonia del dollaro, consolidatasi definitivamente con l'attuazione del Piano Marshall, era giustificata e limitata dalla convertibilità del dollaro in oro. Almeno fino al 1971.

ABOLIZIONE DELLA CONVERTIBILITA' DELL'ORO

Il 19 agosto 1971 Nixon dichiarò l'inconvertibilità del dollaro. Fu un colpo di stato monetario? Non si trattò di conquistare il potere con mezzi illegittimi, ma di conservarlo rimuovendo il fondamento di legittimità. In entrambi i casi il risultato è lo stesso: un governo illegittimo. La seconda via è però più infida perché la continuità nasconde il cambiamento. 
Nell'attuale sistema monetario, per non rinunciare alla caratteristica della scarsità si è istituito il monopolio delle Banche Centrali e dell'FMI nell'emissione di moneta. La misura della scarsità e della capacità di essere riserva è data dal tasso di interesse.  
Un'ultima testimonianza autorevole riguardo alla natura dell'autorità monetaria attuale è stata fornita dall'ex presidente della FED Alan Greenspan, che ha descritto il senso del proprio ufficio in questi termini: 
“Signoraggio è il reddito che uno ottiene sulla base della capacità di indurre gli attori del mercato a impiegare i suoi debiti come moneta.”  
Le banconote sono in realtà titoli di credito, che hanno perso la scritta “Pagabili al portatore”, ma non hanno perso la loro natura di falsa cambiale. Nessun sovrano è mai arrivato al punto di stabilire per decreto l'indifferenza tra debiti e moneta. Nessuno tranne Nixon e Greenspan, ossia gli Stati Uniti e le Banche Centrali.

domenica 17 luglio 2011

La nuova censura

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.” Bertolt Brecht

Quando parlo di Sistema mi riferisco a quell'insieme di regole, abitudini, stereotipi, che costituisce l'ordine prestabilito all'interno del quale gli individui si confrontano con il resto della collettività. Le fondamenta di questa struttura sono i cosiddetti luoghi comuni, ossia tutti i concetti e le opinioni talmente diffusi e ricorrenti da essere accettati comunemente come ovvietà e poi, senza l'appoggio di prove, come verità: in altre parole, dogmi, imposti non tanto (o non solo) da un'istituzione quanto dalla forza dell'omologazione.
Se i regimi totalitari attuano concretamente la censura, impedendo con ogni mezzo la pubblicazione di idee contrarie o critiche rispetto all'ideologia dominante, i regimi democratici attuali non ostacolano la divulgazione di teorie diverse, ma agiscono mediante un meccanismo più subdolo che le etichetta in modo da renderne vana la condivisione.

Un esempio? Il numero di febbraio 2011 di Focus Storia dedicato a “Complotti e congiure”. L'editoriale incomincia così: “Un buon quinto degli americani ritiene che l'uomo non sia mai andato sulla Luna, e che l'allunaggio dell'Apollo 11 fu simulato in uno studio televisivo; oltre un quarto crede che il governo degli Stati Uniti favorì gli attacchi alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001; e più della metà è convinta che Lee Harvey Oswald non agì da solo nell'assassinio del presidente Kennedy nel 1963. È la paranoia del complottismo, cioè la convinzione che dietro a ogni evento di portata storica ci sia la programmazione o la manipolazione da parte di qualche potere occulto.”
E il dossier parte proprio dalla definizione del fenomeno psicologico della paranoia, arricchito addirittura dall'intervento di uno psicanalista: “In psichiatria è considerata una malattia dell'identità: una persona profondamente destabilizzata adotta spesso un estremo meccanismo di difesa proiettando all'esterno i propri turbamenti interiori, inventandosi un nemico che non esiste e immaginando un universo ostile. […] “Nella paranoia non c'è ambivalenza, ma una divisione netta tra l'Io buono e la malvagità impura dell'Altro” chiarisce lo psicoanalista Recalnati.”
Domanda: per quale motivo una rivista di storia dovrebbe, prima ancora di aver presentato i fatti, descrivere la condizione psichica di un soggetto che soffre di paranoia? Compito della storia dovrebbe essere la narrazione dei fatti e successivamente l'interpretazione degli stessi.

Ma andiamo avanti, anzi a fondo pagina, dove troviamo un “Piccolo dizionario della macchinazione” che ci spiega il significato delle parole “Complotto: accordo segreto tra due o più persone allo scopo di commettere, con uno sforzo congiunto, un atto illegale o criminale.”, “Cospirazione: sinonimo di complotto, dal latino conspirare, cioè respirare assieme; sottolinea il significato di segretezza”, “Complottismo (o cospirazionismo): è l'atteggiamento mentale di chi crede che dietro a ogni evento storico e politico ci sia la programmazione e/o la manipolazione da parte di poteri occulti.”
Ma, se il complotto è un accordo segreto mirato ad un determinato scopo, come si fa a definire complottisti quelli che vedono il complotto e quindi cercano di smascherarlo e denunciarlo al pubblico? E allora come chiamiamo le persone che organizzano il complotto e vi partecipano?
Per sicurezza, ho controllato sullo Zingarelli '99 la voce complottismo: al primo punto si legge “l'attività di chi organizza complotti, specialmente politici”; solo secondariamente viene definito come “tendenza a immaginare complotti dietro ogni evento”. Eppure il termine “complottisti” viene sempre più utilizzato per parlare di persone che, non convinte dalla versione ufficiale, cercano altre spiegazioni. La manipolazione della lingua, mediante l'attribuzione di un'accezione negativa o dispregiativa, che sia evidente o implicita, è fondamentale nel processo di omogeneizzazione. La forza del conformismo, già immensa di per sé, acquista un potere nettamente superiore nel momento in cui si manifesta in parole impregnate di concetti associati a diversità o follia.
Ci troviamo qui di fronte ad un preciso intento di delegittimazione del “ragionatore” prima che del ragionamento, aggravato dalla criminale demonizzazione dei dissidenti (da dissidere = sedere separatamente = discordare). Tant'è che, verso il finale dell'articolo, si afferma: “Se nell'immediato le teorie complottiste rassicurano la nostra mente, alla lunga sono pericolose. Finiscono infatti per alimentare paure incontrollate che rischiano di degenerare in conflitti sociali e violenze ben più reali.” Quindi non solo non credere alla versione ufficiale è da pazzi (paranoia=fuori dalla mente), ma anche da delinquenti.
In altre epoche i miscredenti e i blasfemi vennero perseguitati dall'Inquisizione per la loro mancanza di fede nei dogmi della religione: li chiamavano eretici, dal greco haeretikòs “colui che ha scelto”, perché rifiutavano le dottrine della Chiesa. L'eresia oggi è più semplicemente un'idea che contrasta con quelle più comunemente seguite, cioè i luoghi comuni, oppure un'ipotesi che si oppone ad una cosiddetta “versione ufficiale” su un fatto storico-politico-sociale-economico. I complottisti si possono quindi considerare come la versione moderna degli eretici.

Concludo tornando al “Piccolo dizionario della macchinazione” che, astutamente, nella spiegazione della paranoia scrive: “Da un punto di vista psichiatrico, tuttavia, non è sempre facile distinguere un paranoico da una persona che è davvero bersaglio di congiure o persecuzioni. Per esempio, Stalin viene descritto come paranoico, ma è presumibile che molte persone volessero la sua morte”. Il fatto che una persona sia paranoica quindi, tralasciando l'aleatorietà della diagnosi, non determina automaticamente la falsità delle sue affermazioni. Per esempio, può darsi che Stalin avesse molte fobie, ma ciò non toglie che sia stato bersaglio di una decina di attentati.
Insomma, il manicheismo dei “paranoici” che azzera il ruolo del caso non è poi così lontano dalla cieca fiducia degli “ufficialisti” nella Dea della Coincidenza.

Ad ogni modo, il Sistema si regge da sé, supportato dall'influenza su azioni e giudizi cui è sottoposto un individuo per il semplice fatto di essere membro di un gruppo: il conformismo sociale. Ecco perché parlare di complotto non serve, se non a mistificare la realtà.

venerdì 15 luglio 2011

FUORI - F.U.O.R.I.!

Fuori: esclusione o scelta? Coercizione discriminatoria della società o opportunità di libertà completa dell'individuo? Condizione da rifuggire o ancora di salvezza?
Il nome di questo blog ha una valenza duplice, come il significato della parola “fuori” che può ispirare idee e sensazioni contrastanti, a seconda della chiave di lettura che si usa per interpretarla. E duplice è anche l'origine del titolo. Infatti, il suggerimento mi è giunto contemporaneamente dall'album, in particolare dal singolo “Noi fuori” dei Ministri, giovane gruppo rock milanese, e dall'acronimo di un movimento nato negli anni '70, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, forse la prima grande associazione gay italiana.



Il testo dei Ministri ritrae perfettamente lo status dei giovani di oggi: ragazzi e ragazze confusi, che hanno perso ogni punto di riferimento e si vedono privati di un futuro certo, una generazione sprecata che si ribella al sistema d'istruzione preconfezionata da-chissà-chi, che rifiuta ormai i dettami delle religioni, che ha capito, al contrario di altri “vecchi” che chi detiene il potere ha un solo scopo e un solo metodo: divide et impera. È dall'alto che ci dividono, è là in alto che inventano il pericolo. I giovani fuori dai sondaggi, come i “Neet” (Non in Education, Employment or Training), quelli fuori dalle liste e dagli ingranaggi dei faccendieri, quelli che restano sempre fuori dalle condizioni dei finanziamenti per l'imprenditoria, noi fuori dai discorsi in cui non possiamo intervenire e in cui veniamo regolarmente dimenticati, noi fuori dalle pensioni che non avremo mai, … Noi fuori, non sappiamo cosa fare.
Fuori però anche dai contagi, dai lavaggi del cervello, quindi non inquadrati e “sistemati”, liberi da ogni convinzione, proprio a causa della mancanza di fiducia nei confronti del sistema, e magari con un pizzico di spirito critico in più. (Non è così ma facciamo finta!) 

Sulla rivista "Fuori!" i giovani omosessuali degli anni '70 rivendicavano la propria identità gay: il diritto ad essere liberamente se stessi e a diventare ciò che si è, demolendo i vecchi cliché che li rinchiudevano nelle gabbie dell'anormalità. C'è un'espressione, “coming out”, che significa propriamente “uscir fuori”, “uscire allo scoperto”, una semplice dichiarazione che si tramuta in atto liberatorio. Anche qui però è necessaria una presa di coscienza della propria personalità e l'acquisizione di una consapevolezza e, dico io, di un coraggio che “chi non ce l'ha non se lo può dare”. Come succede del resto a tutti coloro che, non essendo omosessuali o immigrati o africani o palestinesi o appartenenti ad un qualsiasi tipo di minoranza, si convincono che la cosa non li riguardi o che il problema sia di matrice “sociale” e quindi si risolverà “col tempo”, e non trovano la forza, o la voglia, per intervenire e difendere i diritti degli altri, senza capire che i diritti di qualsiasi essere umano sono anche nostri diritti.

Fuori è dunque un concetto positivo e negativo, definizione di uno status che può diventare punto di partenza e di ritrovo, condizione che da minoritaria può diventare addirittura privilegiata per gli spunti che offre, perché si inizia già con la consapevolezza che in questo Sistema c'è qualcosa che non funziona e non si desidera nemmeno parteciparvi, se non per cambiarlo.
Il mio Fuori nasce da una necessità di condivisione e di comunicazione, nondimeno dalla convinzione che “parole e idee possono cambiare il mondo”, o almeno arricchire e influenzare chi legge, o anche solo far presente che, toh, esiste anche un altro punto di vista. La scrittura come valvola di sfogo e occasione di riflessione e approfondimento, l'informazione e la conoscenza contro l'indifferenza delle masse lobotomizzate, poiché alla base di ogni problema sta una questione culturale, che non potrà essere risolta se non si combatte l'ignoranza.
Fuori dai condizionamenti dei mass media, fuori dagli inganni globali, fuori dalle schiavitù mentali.