martedì 31 gennaio 2012

Il finto animalismo, ovvero Dell'infantilismo che c'è in noi

Ultimamente sembra che una parte dell'opinione pubblica sia diventata molto più sensibile a tematiche inerenti i diritti degli animali: sarà la conseguenza di una nuova presa di coscienza ambientalista o un'improvvisa responsabilizzazione civica?
Si moltiplicano le denunce di violenze sugli animali, dalla mattanza delle foche bianche agli episodi di barbari pestaggi di cani da parte di squilibrati, dall'abbandono del proprio cane in autostrada allo scandalo delle pellicce alle crudeltà dell'addestramento per il circo. Si tende a parlare meno della questione della vivisezione o delle condizioni in cui vivono gli animali legati alla nostra catena alimentare, argomenti più complessi per implicazioni etiche e sociali.
Comunque vedere persone che ancora s'indignano per qualcosa potrebbe essere un segnale di risveglio collettivo, un moto di umanità che riduca il distacco tra realtà e pensiero in un mondo ipertecnologico.
Ma la maggior parte di questi nuovi attivisti presenta una peculiarità: non fa nulla per aiutare gli animali. Solitamente gli animalisti 2.0 si accaniscono su episodi isolati di maltrattamenti di cui conoscono fin il più macabro dettaglio, fatto di per sé inquietante, e si guardano bene dal contestare determinati sistemi di sfruttamento degli animali. - Sarebbero l'equivalente di attivisti per i diritti umani che denunciassero i casi di cronaca nera, ignorando genocidi operati scientemente da eserciti mercenari. - Non notano ovviamente l'incoerenza tra il sostenere la "pena capitale" per chi abbandona Fido e il continuare a frequentare McDonald's e sagre della porchetta.
Alcuni si definiscono animalisti per il semplice fatto di essere contrari ai maltrattamenti degli animali, quando è ovvio che basterebbe un pizzico di buonsenso. I più dicono di amare gli animali ma a ben vedere amano soltanto i loro cani/gatti/criceti (criceti che non assomiglino pericolosamente ai topi, naturalmente) e il loro pensiero etico-filosofico-politico potrebbe riassumersi in una parola: "cucciolo!". La cucciolo-mania può dipendere da molti fattori: esposizione prolungata ai raggi ultra-verdastri di Striscia la notizia, delusioni nelle relazioni con gli umani -come non capirli-, noncuranza verso la realtà che li circonda, incapacità di intendere e volere di fronte a un cucciolo (purché sia del loro colore preferito), eccetera eccetera.
Quindi, salvo pochi casi, non c'è nessuna responsabilizzazione, tutt'altro. Si amano i cuccioli perché sono belli, si difendono gli animali domestici perché sono i nostri fedeli amici a quattro zampe. Le mucche piacciono perché sono simpatiche e buone da mangiare. E' un "amore" facile insomma, che non richiede sacrifici o rinunce, che non necessita di alcun tipo di impegno a parte l'accarezzare il cucciolo (restano dunque escluse anche le tartarughe), che non obbliga a scontrarsi con il luogo comune in quanto non porta nessun cambiamento. Si ama ciò che si conosce già e che si sa come controllare. 
   





Per questo mi chiedo: sarà un caso che chi si preoccupa tanto dei cuccioli di cane poi resta indifferente in maniera agghiacciante di fronte a notizie come la morte di migliaia di persone per guerre/epidemie/carestie? Forse no... e la motivazione credo non sia tanto da ricercarsi in quello che dicono, quanto in quello che pensano. La questione sta in una diversa concezione del valore della vita di un "animale", equiparato a quella di un uomo.
Gli argomenti dei finti animalisti fanno leva su una bestialità umana che le bestie non potrebbero mai raggiungere e questo le renderebbe automaticamente più meritevoli di rispetto. Ci si dimentica che la maggior parte dell'umanità non è responsabile di tutti gli orrori commessi dal potere contro l'umanità e che le decisioni cruciali sono prese dagli oligarchi che stanno a capo della baracca (certo, possiamo boicottare Barilla per non finanziare l'industria degli armamenti, poi?). Siamo tutti egualmente colpevoli nel sistema economico mondiale?! No, diventiamo in parte complici se ci rassegniamo a ignorare. Il cancro del mondo non è l'uomo ma un certo tipo di "progresso". Gli uomini non sono tutti criminali assetati di soldi e potere. La maggior parte in realtà è vittima di una colonizzazione economica e/o culturale: se non si libera l'uomo come si pensa di liberare l'animale?
 Quello che si sta perdendo di vista è il valore della vita umana. Questa è la disumanizzazione: lo svilimento della dignità dell'individuo tramite la distruzione dell'autonomia di pensiero. Nel frattempo sembra acquisire maggiore importanza la dignità animale, ma con i dovuti distinguo del perbenista medio che, in ogni contesto sociale, regna sovrano. Chi paventa la realizzazione di un nuovo mondo, paradiso degli animali, inferno degli umani, per il momento può mettersi l'anima in pace: è soltanto l'ennesima ondata di rivoluzionario conformismo.

Fa oltremodo riflettere un articolo di Vittorio Arrigoni, attivista del Free Gaza Movement, pubblicato nel libro "Gaza. Restiamo Umani", testimonianza dell'Operazione Piombo Fuso:
«Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola» mi dice Jamal, chirurgo dell'ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue.
«Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l'ultimo miagolio soffocato». Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua. «Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste...». Jamal continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. «Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l'ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quali sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati».
A questo punto il dottore si china verso una scatola e me la scoperchia davanti. Dentro ci sono gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.

domenica 1 gennaio 2012

Hiv - Aids: diamoci un taglio.

"Se ci sono migliaia di casi di AIDS senza HIV, come può l'HIV causare l'AIDS?"  
Celia Farber, giornalista


"Dov'è la ricerca che dice che l'HIV è la causa dell'AIDS? Di questo virus ormai sappiamo tutto. Ci sono 10.000 persone al mondo che si sono specializzate in HIV. Nessuno di loro ha interesse alla possibilità che l'HIV non provochi l'AIDS, perché se così fosse, la loro specializzazione sarebbe inutile."   
Kary Mullis, Premio Nobel per la Chimica 1993 

"In questo stesso momento gay perfettamente in salute vengono ingannati nel fare test dell'Hiv fasulli. A coloro i quali risultano positivi saranno prescritti cocktails di farmaci, che li renderanno deboli e malati e probabilmente li uccideranno." 
 John Lauritsen, giornalista e attivista gay, 
Knowledge & Dogma, 2010


La guerra contro l'Aids è stata finora un fallimento. Non esiste ancora una cura per la malattia. Si vive di più, ma non si riesce a distruggere il virus. L'unica politica di prevenzione è quella dei reiterati appelli per "rapporti protetti e siringhe pulite". I pazienti sieropositivi che hanno assunto la terapia antiretrovirale prima della comparsa dei sintomi hanno sviluppato l'Aids con un'incidenza più alta rispetto a chi non ha preso farmaci. La stessa Food and Drug Administration afferma che "i farmaci non curano o prevengono HIV o AIDS e non riducono il rischio di contagio". Risultati certamente deludenti, considerato che l'Aids è l'epidemia meglio finanziata di tutti i tempi.



In occasione della Giornata Mondiale contro l'Aids le associazioni hanno rinnovato gli inviti a fare il test per l'HIV. Quello che le campagne non dicono però, è che non esiste uno standard riconosciuto per stabilire l'assenza o la presenza di anticorpi anti-HIV in sangue umano. Cosa significa? Che il test che fate in Italia, magari in Inghilterra è considerato un test-fuffa. Addirittura gli standard utilizzati per la lettura del Western Blot o di Elisa sono diversi da Paese a Paese. Tradotto: potreste essere sieropositivi in Australia e sanissimi in un altro stato.
La prof. Eleni Papadopulos-Eleopulos, coi colleghi della University Western Australia, denuncia da anni l'inaffidabilità di questi test che possono dare fino all'80% di falsi positivi. Nel documentario House of Numbers alcune persone testimoniano di aver rifatto più volte il test e di aver ottenuto sempre risposte diverse. Da questi test dipende la vita del paziente, che se positivo dovrà assumere farmaci a vita. I pazienti quindi hanno come minimo il diritto di essere informati correttamente per poter arrivare ad una scelta libera, e non condizionata da campagne mediatiche terroristiche e mistificatorie.
La teoria attualmente accettata dalla maggioranza della comunità scientifica è quella che considera l'Aids come una malattia infettiva causata dall'Hiv, Human Immunodeficiency Virus; ma non sono pochi quelli che hanno criticato in toto o in parte questa spiegazione. Sono 2500 tra scienziati, medici e giornalisti investigativi quelli che credono sia necessario rivedere la teoria hiv-aids.

Il primo dei dissidenti è Peter Duesberg, che critica radicalmente l'ipotesi virale: questa trasformerebbe l'Hiv nella causa nuova di una trentina di malattie già note, modificando quindi la diagnosi a seconda che si tratti di un paziente sieropositivo oppure no.
Esempi:
- tubercolosi + anticorpi Hiv = Aids
- tubercolosi - anticorpi Hiv = tubercolosi
L'Aids non potrebbe essere considerata una malattia infettiva perché:
  • tutte le malattie infettive sono distribuite pressoché equamente tra maschi e femmine, mentre l'Aids colpisce molti più maschi;
  • il microbo o virus che causa la malattia deve essere presente in gran quantità nelle cellule, mentre l'Hiv è raro, inattivo o assente;
  • l'agente patogeno deve essere presente in tutti i malati, mentre non tutti i pazienti di Aids hanno l'Hiv. Esempio: un ultrasessantenne negativo all'Hiv, con sarcoma di Kaposi.
  • una malattia infettiva si sviluppa in giorni o mesi; il periodo di latenza dell'Hiv nel 1984 era di 10 mesi, ora può superare i 10 anni! 
"Perché un virus si riattivi, il sistema immunitario deve prima essere distrutto da qualche altra cosa, cioè dalla vera causa della malattia. Un virus riattivato potrebbe tutt'al più provocare un'infezione opportunistica. Perciò non esistono virus lenti, ma solo virologi lenti di comprendonio."   [Da Aids. Il virus inventato]

Il periodo in cui la ricerca prese in considerazione sia l'ipotesi infettiva che non infettiva fu di tre anni: dal 1981 al 1984.
Nel 1981, il Center for Disease Control individuò una sindrome sconosciuta e mortale: una grave forma di polmonite (Pneumocisti Carini) accompagnata da un basso livello di linfociti T e una forma rara di tumore, il sarcoma di Kaposi, in pazienti che avevano due cose in comune: erano omosessuali e avevano fatto uso di droghe quali amilnitriti (poppers). Abbandonata subito l'idea che l'uso prolungato di droghe possa causare l'immunodeficienza, così come il fumo può causare il cancro, restarono due ipotesi: o si trattava di una partita inquinata di poppers o la nuova malattia era sessualmente trasmissibile.
"Visto che l'abuso di droga può danneggiare gravemente il sistema immunitario, perché si è identificato l'Aids in primo luogo con il sesso, soprattutto il sesso fra omosessuali?" Wall Street Journal
Nel frattempo, la nuova sindrome venne battezzata col triste nome di GRID, Gay-related-immune-deficiency-virus. A questo punto, come scrive la National Commission on Aids, "la malattia da Hiv ha effetti devastanti su quelli che sono già degli emarginati della società... Non si può comprendere appieno questa malattia fuori dal contesto di razzismo, fobia per gli omosessuali, povertà e disoccupazione."
E' indispensabile capire il contesto storico e sociale in cui ha origine l'Aids ed uscire quantomeno dalla visione pregiudiziale che vedrebbe i cosiddetti negazionisti come giudici della morale che imputano la causa della malattia allo "stile di vita degli omosessuali".
 Era il periodo post-Stonewall, le lotte dei movimenti di liberazione sessuale incominciavano a vedere le prime conquiste e insieme a queste aumentavano gli scontri con la polizia e l'ostilità di chi non vedeva di buon occhio questi ambienti. Negli anni '70 gli omosessuali cominciarono a ritrovarsi nelle grandi città in determinati locali ed alcuni di loro sperimentavano nuove droghe "esplosive", i poppers, che si trovavano facilmente in vendita in alcune discoteche. Oggi sappiamo con certezza che i nitriti sono tra le sostanze chimiche più tossiche e cancerogene che esistano, avvelenano o uccidono cellule, causano anemia, immunodeficienza e polmonite. Il Center for Disease Control invece, nei primi anni '80, assicurò agli omosessuali che i poppers non avevano alcun effetto sul sistema immunitario. 

Gli addetti alle ricerche sul sarcoma di Kaposi, per verificare l'infettività del Grid, cercarono prove che la sindrome si stava diffondendo anche tra gli eterosessuali, e trovarono riscontri in gruppi di drogati o in soggetti che ricorrevano a trasfusioni di sangue, come emofiliaci.
Nel libro di Duesberg, è riportata la dichiarazione di un virologo americano che ha chiesto di restare anonimo: "Nella comunità scientifica molta gente ha pensato che, se il male fosse rimasto una patologia degli omosessuali e dei drogati, non avrebbe attirato molta attenzione da parte dell'opinione pubblica e delle autorità: e sono state queste ultime ad assegnare le risorse necessarie per organizzare la ricerca destinata a darci le armi con cui combattere la malattia: se l'Aids non fosse stato visto come un problema degli eterosessuali i soldi per la ricerca non sarebbero mai arrivati." 
Fu così che, per uno strano caso, le pressioni degli attivisti che, a ragione, chiedevano di rimuovere quel marchio che stigmatizzava l'intera comunità gay, incrociarono la strada presa dagli scienziati, ormai convinti dell'ipotesi infettiva, che avevano necessità di sostituire quel nome con uno più generico: fu così che nel luglio 1982 il Cdc battezzò la nuova malattia come Aids, Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita, eliminando, almeno nella definizione, ogni legame tra sindrome e gruppi a rischio o omosessuali.

Nel 1984 Robert Gallo annunciò la scoperta del virus Hiv nella conferenza stampa organizzata dal ministro della sanità del governo Reagan, nonché capo del National Institute of Health, Margaret Heckler. Con un procedimento assolutamente anomalo la teoria di Gallo venne assunta a verità scientifica, prima ancora della pubblicazione del suo lavoro e della discussione all'interno dell'Accademia scientifica. Da qui in avanti i sostenitori dell'ipotesi virale ebbero la strada spianata nella gestione della malattia. Le catastrofistiche previsioni di diffusione dell'Aids, "la più grossa minaccia del secolo alla salute umana" [Newsweek, aprile 1993], alimentarono il panico nella popolazione, in particolare nella comunità gay, che si riversò nelle strade a chiedere una cura. E purtroppo la ottenne: l'AZT.

Peter Duesberg, che pubblicò nell'87 il primo articolo nel quale metteva in dubbio il legame Hiv-Aids, venne tagliato fuori dalla comunità scientifica: attualmente non viene più pubblicato dalle riviste più importanti, né invitato a convegni, e le sue ricerche non vengono più finanziate. Le voci non in linea con la teoria dei virologi sono state quasi ignorate o zittite.
Negli anni '90, la definizione di Aids è stata via via "aggiornata", fino ad includere una trentina di malattie. Non solo: è ormai affermato da tutti, anche dallo stesso Luc Montagnier, lo scienziato francese a cui Gallo "fregò" galantemente la scoperta, che l'Hiv non basta a causare l'Aids ma ha bisogno di cofattori. Casualmente, ogni modifica della definizione, andava a risollevare le statistiche, in calo, dei malati di Aids.

Inoltre, sfatiamo un altro mito: l'Hiv non è facile da trasmettere! Non è assolutamente vero che basta un rapporto non protetto per essere contagiati. Le percentuali di rischio sono bassissime. Cito i dati del sito StopAids, di certo non un raduno di "complottisti": nei rapporti sessuali la probabilità di infezione varia dallo 0,3% allo 0,9%, nel caso di siringhe infette si aggira attorno allo 0,7%. Solo la trasfusione di sangue comporta un rischio molto alto, pari al 95%. Da qui è partito il dottor Robert Willner per dimostrare la falsità della teoria Hiv-Aids: nel 1994 si è iniettato sangue di un sieropositivo durante una conferenza stampa. Era la seconda volta che ripeteva l'esperimento e non è stato contagiato. E' morto dopo un anno ma di infarto cardiaco.




John Lauritsen, un eroe dei nostri tempi
  John Lauritsen lavorava come analista di ricerche di mercato. Nel 1983 incominciò a interessarsi di Aids e conobbe Hank Wilson, attivista di San Francisco per i diritti degli omosessuali, il quale aveva promosso una crociata contro i poppers ed aveva fondato il Comitato per il controllo dei poppers. Lauritsen, membro del Comitato per il sesso sicuro, nel 1984 fece pubblicare un opuscolo intitolato "Evitate le droghe". Nel 1985 Lauritsen pubblicò il suo primo articolo sull'Aids sul Philadelphia Gay News, dove accusava il Center for Disease Control di truccare le statistiche. Iniziò a collaborare con la rivista indipendente New York Native, che si occupava di temi omosessuali. "Riportando bibliografie complete gli articoli di Lauritsen introdussero per la prima volta la documentazione scientifica nel giornalismo divulgativo." Fece conoscere Duesberg alla comunità gay e aprì finalmente il dibattito sull'Hiv.
Abbandonò poi le ricerche di mercato per dedicarsi interamente alla ricerca della verità sull'Aids. Pubblicò con Wilson "Corsa alla morte: Poppers e Aids", denunciando il conflitto di interessi tra produttori di poppers e pubblicazioni omosessuali e accademiche.
Quando nell'87 lesse Duesberg sul Cancer Research trovò conferma dei suoi dubbi.
L'approvazione dell'AZT come terapia per l'Aids lo impegnò in un'altra grande battaglia, di cui magari parleremo in un altro post.


Nel discorso tenuto a Vienna nel 2010, alla riunione dei dissidenti, John Lauritsen ha affermato: "L'amara verità, come ho notato, è che non c'è alcuna comunità gay. Le pubblicazioni gay sono state portate sulla linea di pensiero dell'industria dell'AIDS."
Se questo atteggiamento delle associazioni gay poteva essere compreso nel particolare contesto storico degli anni '80, è oggi incomprensibile. L'insistenza sulla campagna per l'uso del preservativo risulta, alla luce dei dati sopracitati, non solo inutile, almeno per l'Hiv, ma addirittura deleteria per la posizione sociale dei sieropositivi che, salvati malamente vent'anni fa dalla condanna all'emarginazione in seguito alla "punizione divina", saranno più banalmente e pesantemente condannati a portare il fardello della colpa del proprio contagio. 

Leggiamo Kary Mullis: "Il problema scientifico si mischia con quello morale. Ma quello che sto dicendo non ha niente a che vedere con la morale. Non parlo di "punizione divina" o di altre assurdità. Un segmento della nostra società stava sperimentando uno stile di vita, e le cose non sono andate come previsto. Si sono ammalati. Un altro segmento della nostra società così pluralista - chiamiamoli medici/scienziati reduci della guerra perduta contro il cancro, o semplicemente sciacalli professionisti - hanno scoperto che funzionava. Funzionava per loro. Stanno ancora pagandosi le loro BMW con i nostri soldi."


"Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse 
e amare quelle che vi opprimono!" Malcolm X

FONTI

Peter Duesberg, Aids. Il virus inventato

Kary Mullis, Ballando nudi nel campo della mente [Capitoli: "Il caso non è chiuso" e "Prendetevi le diapositive, io resto a casa"]

Conferenza di Daniele Mandrioli, laureato in medicina

House of numbers, documentario 2009

HivInforma