L'ultimo video degli attivisti di GetUp! sta spopolando in rete: dal 24 novembre è stato visto più o meno 3 milioni e 50 mila volte.
Bellissimo. Praticamente un film riassunto in due minuti. Una storia d'amore raccontata in soggettiva al fine di portare lo spettatore ad immedesimarsi nel protagonista. E infatti lo spot, che mira a sensibilizzare il pubblico sul tema del matrimonio gay, deve commuovere chi lo guarda: tenerezza, gioia, dispiacere, complicità, ... fino al colpo di scena finale quando si scopre che dietro la cinepresa c'è un altro ragazzo. Come a dire: "che differenza fa?". L'intento è mostrare la normalità di una relazione e della vita di due ragazzi gay. Quindi è ovvio che il target non sono i gay; la campagna è rivolta ad altri.
La scelta di insistere così fortemente su un messaggio di uguaglianza e la totale assenza di un dibattito (almeno in Italia) su questi temi hanno fatto sì che qualcuno interpretasse il "noi siamo come voi" affermato dalle immagini dello spot, in una richiesta di approvazione da parte dell'altra categoria. Certamente questa campagna potrebbe togliere dei dubbi a chi si immaginava i gay come omini verdi sputafuoco, il che non sarebbe male per una convivenza pacifica e civile, ma il punto è far capire, molto semplicemente, che non c'è ragione per cui una coppia di due ragazzi debba avere meno diritti di una coppia etero. La maggior parte degli articoli di commento al video però conclude citando i sondaggi. "I sondaggi dicono che in Australia la maggioranza dei cittadini è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso." Sottinteso: quindi si può fare. No. Non è così che funziona. Nessuno sta chiedendo il permesso a nessuno. Non è una questione di consensi. Parliamo di diritti, anzi di diritti negati.
Il difetto di questo spot, secondo me, è che puntando su un format tipicamente americano di buonismo esasperato, rischia di trasformare quella che dovrebbe essere una ferma denuncia in una timida richiesta. Perché rimandando troppo in là il "colpo di scena", quando il protagonista chiede la mano della sua dolce metà, in realtà la sta chiedendo anche allo spettatore, ancora immedesimato, che, commosso, accetta.
La logica ricorda molto quella del bellissimo video del 2009 di MarriageEquality per l'Irlanda: un ragazzo va a bussare alle porte di casa dei suoi concittadini e domanda: "salve, posso chiederle la mano di Sinead?". Il filmato si conclude con la domanda: "Come ti sentiresti se dovessi chiedere a 4 milioni di persone il permesso per sposarti?".
Perché hanno più successo pubblicità con un montaggio figo e quasi scontato rispetto a campagne più originali e che non puntano solo sul lato emotivo dello spettatore? Non è paradossale che per affrontare una diversità si debba per forza usare un linguaggio omologato e appiattirsi entro i parametri della comunicazione massmediatica cui siamo normalmente abituati? Perché per farsi ascoltare bisogna ricercare a tutti i costi il plauso generale?
Il punto è che i diritti, per loro natura, non sono gentili concessioni dei principi regnanti, altrimenti si chiamerebbero privilegi. La costante degenerazione della democrazia in una forma di dittatura della maggioranza annichilisce ogni senso di giustizia e libertà. L'indifferenza che ammorba questa società ha fatto dimenticare da tempo che i diritti delle minoranze sono diritti di tutti. La campagna It's Time dovrebbe dare una scossa in questo senso: tirare un po' la giacchetta a quelli che trovano sempre una scusa per rimandare una questione che ritengono di secondaria importanza e fare presente che non stiamo parlando di pretese della egocentrica comunità gay, ma di diritti. Gli spot servono per creare empatia; poi però, onde evitare che si sciolga come neve al sole, bisognerebbe ragionarci su. Serve un cambiamento culturale: "è ora". E' ora di abbattere gli stereotipi, è ora di capire che nessuno vuole distruggere la famiglia, è ora che a riforme della società seguano riforme della legge. Vi stiamo chiedendo una mano, sì, ma non quella di Sinead.
Il punto è che i diritti, per loro natura, non sono gentili concessioni dei principi regnanti, altrimenti si chiamerebbero privilegi. La costante degenerazione della democrazia in una forma di dittatura della maggioranza annichilisce ogni senso di giustizia e libertà. L'indifferenza che ammorba questa società ha fatto dimenticare da tempo che i diritti delle minoranze sono diritti di tutti. La campagna It's Time dovrebbe dare una scossa in questo senso: tirare un po' la giacchetta a quelli che trovano sempre una scusa per rimandare una questione che ritengono di secondaria importanza e fare presente che non stiamo parlando di pretese della egocentrica comunità gay, ma di diritti. Gli spot servono per creare empatia; poi però, onde evitare che si sciolga come neve al sole, bisognerebbe ragionarci su. Serve un cambiamento culturale: "è ora". E' ora di abbattere gli stereotipi, è ora di capire che nessuno vuole distruggere la famiglia, è ora che a riforme della società seguano riforme della legge. Vi stiamo chiedendo una mano, sì, ma non quella di Sinead.
"Stiamo ampliando le opportunità di felicità per i nostri vicini, per i nostri colleghi di lavoro, per i nostri amici e per i nostri famigliari, e allo stesso tempo stiamo costruendo un paese migliore, perché una società migliore è quella che non umilia i suoi membri" -Zapatero-
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