venerdì 12 maggio 2017

Presidenziali francesi: la sconfitta delle primarie

Nei commenti a queste strane presidenziali francesi nessuno nota che il giovane e scattante Emmanuel Macron era l'unico candidato dei cosiddetti grandi partiti (esclusi cioè gli estremi) a non essere stato scelto tramite le tanto decantate primarie. Si aggiunga che alcuni sconfitti delle primarie del Partito Socialista e dei Républicains, che l'hanno appoggiato sia al primo turno che al ballottaggio, tradendo il patto di lealtà coi rispettivi partiti, ora non vedono l'ora di riciclarsi nel movimento En Marche, in vista delle elezioni legislative. È un fatto grave, anche perché ha contribuito in modo non indifferente da un lato alla riuscita della campagna del “nuovo” Macron, considerato l'unico potenziale presidente in grado di formare un governo (proprio in vista delle emergenti fratture tra PS e LR!), dall'altra parte al superamento dei gollisti e alla disfatta dei socialisti. Non per nulla Hamon, il candidato socialista, ha pronunciato parole di fuoco contro il voltafaccia di Valls, che ha definito come un vero e proprio “tradimento”.

Il problema è che la débâcle del PS è conseguente alle promesse non mantenute del presidente uscente Hollande e alle politiche del grande sconfitto delle primarie, Manuel Valls, il quale non ha poi accettato la svolta anti-liberista del rivale Benoit Hamon. Insomma, anziché dire che Valls è saltato sul carro del vincitore sarebbe più corretto parlare di una ritirata di fronte a catastrofe imminente, non proprio un grande atto di responsabilità per dirla con parole ricorrenti.
Se fosse vero, come sostengono certi, che le primarie sono la quintessenza della democrazia, c'è quantomeno un problema di coerenza. Se accetti di partecipare alle primarie mettendoti in concorrenza con qualcuno tanto lontano dalle tue idee da non volerne poi sostenere la candidatura in caso di vittoria, allora il meccanismo non può funzionare. In un quadro siffatto le primarie si dimostrano solo una nuova forma di organizzazione del potere politico, che hanno già evidenziato un rischio di non poco conto: tendono ad azzerare il dibattito nei congressi.

Ultimo punto: i commenti dei politici italiani. Il Partito Democratico, che ha fatto delle primarie un motivo di vanto della propria superiorità rispetto ad altri movimenti, dovrebbe forse gioire un po' meno. Macron si è autocandidato creando un suo movimento, sfruttando poi dall'esterno l'appoggio di alcuni deputati e sezioni del PS. Le primarie sono state tradite e non hanno funzionato granché da trampolino di lancio. Se poi si pensa che PS e PD fanno parte della stessa famiglia politica europea del PSE, non si possono comprendere gli applausi a Macron di fronte alla distruzione di un partito che ha una lunga storia alle spalle. E allora emerge l'equivoco: Renzi non è il Macron italiano, Renzi è il Valls italiano, che però ha vinto le primarie. Il fine di questa politica è governare, il suo motto è il pragmatismo. Le primarie diventano un grande bluff. La fine dei partiti politici non è conclamata dalle percentuali di voto, ma da una questione di incompatibilità non affrontata: non è possibile la convivencia nello stesso movimento politico di un Hamon e di un Valls. Quindi le tanto vituperate scissioni si dimostrano più che mai necessarie al chiarimento di linea politica, non risolvibile con le tanto esaltate primarie.
Del resto solo una grande confusione ha permesso a Macron, ex ministro dell'economia scelto dal presidente più impopolare di Francia, di presentarsi come il volto nuovo della politica e a breve permetterà agli sconfitti delle primarie di reinserirsi nella macchina elettorale, senza nessuna autocritica sul passato.

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