In occasione della
Giornata internazionale contro l'omofobia l'Istat ha presentato il
rapporto sulla “popolazione omosessuale nella società italiana”,
i cui dati sono stati ricavati dalla prima rilevazione statistica
sulle “Discriminazioni in base al genere, all'orientamento sessuale
e all'appartenenza etnica” condotta nel 2011 su un campione di
7.725 famiglie. Nella prima parte dell'inchiesta sono state rilevate
le opinioni e gli atteggiamenti di tutti i cittadini nei confronti
degli omosessuali e delle transessuali, mentre il secondo
questionario riguardava direttamente l'esperienza di questi ultimi
nella società.
Non intendo riportare
tutti i dati, esposti in maniera chiarissima dal documento Istat e
che sicuramente verranno storpiati da tutte le agenzie e dai vari
Leggo e Non Leggo, né fare il gioco del bicchiere mezzo pieno /
mezzo vuoto perché da inguaribile pessimista mi ritroverei con un
paio di bottiglie interamente vuote. Vorrei invece provare a dire
qualcosa che i numeri non esprimono o nascondono.
Analizzando i dati si
possono individuare tre ambiti differenti
- la concezione di omosessualità
- l'orientamento sessuale del singolo
- le relazioni tra persone dello stesso sesso
che a loro volta si
intrecciano con la distinzione tra
- la vita privata
- la sfera pubblica.
Il grado di tolleranza è inversamente proporzionale al grado di visibilità.
In linea teorica si
accetta l'idea che l'omosessualità rientra nella normalità
delle umane vicende.
Per quanto riguarda il
singolo individuo, si condanna fermamente la discriminazione nei
confronti degli omosessuali, atteggiamento un po' meno convinto se si
tratta di una transessuale.
Se però la persona in
questione è un vicino di casa, sorge qualche dubbio, soprattutto nel
caso delle transessuali: quindi gli intervistati tendono a
giustificare gli atteggiamenti discriminatori che poi rientrano nei
loro stessi comportamenti. Le perplessità aumentano sul grado di
accettabilità di un omosessuale come insegnante di scuola
elementare (per il 41% è poco o per niente): l'omosessualità
non è contagiosa, non è immorale, però...
“Se gli omosessuali
fossero più discreti sarebbero meglio accettati” (55%): ma come si
fa ad accettare qualcosa che non si vede? Una cosa che non si vede è
come se non ci fosse, non può dare fastidio!
Se accendiamo i
riflettori sulla coppia poi abbiamo un quadro tutto sommato completo
della mentalità politicamente corretta, ipocrita e puritana
dell'italiano medio.
“L'importante è
amare”, uomo o donna non conta, o almeno per il 66%. Se poi
all'amore si aggiunge una “relazione affettiva e sessuale” i
“consensi” scendono al 59%. Non riesco a non leggere qui un'idea
di superiorità di fondo dell'eterosessualità.
No alle discriminazioni,
quindi sì alla parità dei diritti, ma quali? Il matrimonio forse è
troppo, però è giusto che una coppia di omosessuali che convive
abbia gli stessi diritti di una coppia sposata. Sulle adozioni
c'è una chiusura netta: saranno brave persone ma per educare dei bambini è meglio proporre subito i due modelli uomo/donna.
Dunque: si condannano gli
atti discriminatori ma rimane una mentalità che affonda
inconsapevolmente le sue radici nel terreno, sempre fertile, del
pregiudizio. Mentre dalle dichiarazioni risulta una maggiore tolleranza nel primo ambito, quello delle idee, questa è smentita dai
fatti. In realtà la condanna delle discriminazioni è più un atto di bontà che di tolleranza e permane un'idea di libertà condizionata dell'amore e delle sue esternazioni.
Credo sia in parte il
risultato di un atteggiamento diffuso nei media: un turbinio di
dichiarazioni idiote e di notizie di pestaggi o discriminazioni nei
confronti di omosessuali e transessuali per denunciare la
discriminazione, in cui brillava per assenza un discorso più
articolato che mirasse anche all'edificazione di una nuova coscienza
e conoscenza per andare al di là dei modelli precostituiti. Si è
preferita la strategia del politicamente corretto. Così alla fine
“gli omofobi sono sempre gli altri”.
Quello che resta è una
sorta di paura del contagio: spaventa la professione dell'insegnante
e non si osa nemmeno rivolgere lo sguardo al ruolo di genitore. Il
rischio è mettere in crisi un modello di identificazione. Il
modello resta il modello.
E
non a caso l'ambiente in cui gli omosessuali si dichiarano meno è la
famiglia, perché le aspettative dei genitori sono cambiate di poco.
Conclusioni
L'unico
modo per porre fine alle discriminazioni è disinnescarle alla
radice: agire sul pensiero.
- Lo Stato ha il dovere di riconoscere la parità dei diritti delle coppie e dare così un significato alla parola “uguaglianza”. E, come detto nella conferenza di presentazione, il tema del riconoscimento dei diritti non può essere oggetto di una campagna elettorale, che divide l'opinione pubblica, invece di spingerla a capire.
- La società ha finora negato la legittimazione di modelli che uscissero dagli schemi tradizionali: bisogna prendere atto del fallimento di una strategia mediatica che evidenziava soltanto gli ostacoli fuori dalle mura casalinghe ed è necessaria la presa di responsabilità di chi, attraverso una strumentalizzazione televisiva a dir poco degradante, ha imposto un'unica immagine di omosessuale, l'eunuco o giullare di corte. I mezzi di informazione devono mostrare la realtà, che non è quella dei salotti televisivi, dar voce alle persone, alle coppie e alle famiglie omosessuali. Un popolo indottrinato da opinionisti di quarta categoria non sarà mai un popolo veramente tollerante.
Infine, per capire la
considerazione effettiva dell'omosessualità in Italia è
sufficiente la risposta a un solo quesito:
“Una coppia va in
centro nel pomeriggio. I due passeggiano per le strade tenendosi per mano e
si scambiano un rapido bacio. Pensa che sia un comportamento
accettabile?”
Nel caso di un uomo e una
donna per il 94% sì.
Nel caso di due donne è
accettabile per il 55%.
Nel caso di due uomini è
accettabile per il 52%.
E' la sottile linea
tra amore e ostentazione.