Nei
commenti a queste strane presidenziali francesi nessuno nota che il
giovane e scattante Emmanuel Macron era l'unico candidato dei
cosiddetti grandi partiti (esclusi cioè gli estremi) a non essere
stato scelto tramite le tanto decantate primarie. Si aggiunga che
alcuni sconfitti delle primarie del Partito Socialista e dei
Républicains, che l'hanno appoggiato sia al primo turno che al
ballottaggio, tradendo il patto di lealtà coi rispettivi partiti,
ora non vedono l'ora di riciclarsi nel movimento En Marche, in vista
delle elezioni legislative. È un fatto grave, anche perché ha
contribuito in modo non indifferente da un lato alla riuscita della
campagna del “nuovo” Macron, considerato l'unico potenziale
presidente in grado di formare un governo (proprio in vista delle
emergenti fratture tra PS e LR!), dall'altra parte al superamento dei
gollisti e alla disfatta dei socialisti. Non per nulla Hamon, il
candidato socialista, ha pronunciato parole di fuoco contro il
voltafaccia di Valls, che ha definito come un vero e proprio
“tradimento”.
Il
problema è che la débâcle del PS è conseguente alle promesse non
mantenute del presidente uscente Hollande e alle politiche del grande
sconfitto delle primarie, Manuel Valls, il quale non ha poi accettato
la svolta anti-liberista del rivale Benoit Hamon. Insomma, anziché
dire che Valls è saltato sul carro del vincitore sarebbe più
corretto parlare di una ritirata di fronte a catastrofe imminente,
non proprio un grande atto di responsabilità per dirla con parole
ricorrenti.
Se
fosse vero, come sostengono certi, che le primarie sono la
quintessenza della democrazia, c'è quantomeno un problema di
coerenza. Se accetti di partecipare alle primarie mettendoti in
concorrenza con qualcuno tanto lontano dalle tue idee da non volerne
poi sostenere la candidatura in caso di vittoria, allora il
meccanismo non può funzionare. In un quadro siffatto le primarie si
dimostrano solo una nuova forma di organizzazione del potere
politico, che hanno già evidenziato un rischio di non poco conto:
tendono ad azzerare il dibattito nei congressi.
Ultimo
punto: i commenti dei politici italiani. Il Partito Democratico, che
ha fatto delle primarie un motivo di vanto della propria superiorità
rispetto ad altri movimenti, dovrebbe forse gioire un po' meno.
Macron si è autocandidato creando un suo movimento, sfruttando poi
dall'esterno l'appoggio di alcuni deputati e sezioni del PS. Le
primarie sono state tradite e non hanno funzionato granché da
trampolino di lancio. Se poi si pensa che PS e PD fanno parte della
stessa famiglia politica europea del PSE, non si possono comprendere
gli applausi a Macron di fronte alla distruzione di un partito che ha
una lunga storia alle spalle. E allora emerge l'equivoco: Renzi non è
il Macron italiano, Renzi è il Valls italiano, che però ha vinto le
primarie. Il fine di questa politica è governare, il suo motto è il
pragmatismo. Le primarie diventano un grande bluff. La fine dei
partiti politici non è conclamata dalle percentuali di voto, ma da
una questione di incompatibilità non affrontata: non è possibile la
convivencia nello stesso movimento politico di un Hamon e di
un Valls. Quindi le tanto vituperate scissioni si dimostrano più che
mai necessarie al chiarimento di linea politica, non risolvibile con
le tanto esaltate primarie.
Del
resto solo una grande confusione ha permesso a Macron, ex ministro
dell'economia scelto dal presidente più impopolare di Francia, di
presentarsi come il volto nuovo della politica e a breve permetterà
agli sconfitti delle primarie di reinserirsi nella macchina
elettorale, senza nessuna autocritica sul passato.